Recensione: Agonia

Di Daniele D'Adamo - 11 Febbraio 2022 - 0:00
Agonia
Band: Redemptor
Etichetta: Selfmadegod Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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74

Fondati nel 2001 dal chitarrista Daniel Kesler, i Redemptor sono l’ennesima creatura nata in Polonia, terra tradizionalmente feconda per quanto riguarda il death metal. Una creatura che ha nel suo grembo un gruppo di musicisti dal notevole pedigree; data l’appartenenza, presente e passata, a band quali Sceptic, Decapitated e Hate. Senza contare le loro innumerevoli presenze sui palchi di tutta Europa e non solo. Tanta esperienza, insomma, e tanta professionalità.

L’approccio al death, come accade più spesso ultimamente, non è quello classico. Dalle pieghe di “Agonia”, quarto full-length in carriera, emergono infatti contaminazioni varie. Intromissioni aliene alla purezza del genere, che connotano una precisa volontà di evolversi, di progredire, di aumentare la portata di dettami che, a volte, hanno dimostrato i loro limiti compositivi.

Nell’LP, quindi, non ci si deve stupire di trovare elementi assai dissonanti, passaggi atmosferici, parallelismi con il black metal, assaggi di progressive, mulinelli fangosi che ingurgitano gli orecchi poco propensi alle novità.

Michał Xaay Loranc cura le linee vocali con cura, accennando un growling non particolarmente profondo, quanto invece stentoreo; prodotto dall’emissione di aria a pieni polmoni mettendo quanta più forza possibile nel diaframma.  Kesler e Hubert Więcek mulinano con vigore le loro asce da guerra, sì da dar vita a un riffing sterminato, estremamente complesso, dominato dalla fedeltà alla disarmonia. Tanto per aggiungere ingredienti alla ricetta, non manca neppure qualche inserimento melodico (‘Potion of the Skies’, ‘Wounds Unhealed’), ben inserito nel contesto generale per antitetici segmenti imprevedibili a priori. La sezione ritmica guidata da Kamil Stadnicki al basso e da Daniel Rutkowski alla batteria si mostra del tutto coerente con il resto, proponendo un incedere mai lineare, anzi accidentato, complicato nelle sue trame temporali, perfettamente in linea con l’arzigogolato lavoro delle chitarre. Rutkowski, insomma, abbraccia con grande tecnica il passaggio da possenti slow-tempo a fulminanti blast-beast senza battere ciglio.

Il sound che ne esce è praticamente esente da difetti, ben equilibrato nelle sue componenti essenziali, ottimamente leggibile nonostante la sua natura poliedrica. Capace di fungere da base per uno stile personale, adulto, maturo. Uno stile che per essere apprezzato in toto, digerito, fatto proprio, necessita di una quantità non indifferente di ascolti. Ci si potrebbe scoraggiare, all’inizio, dato il numero di aspetti da mettere in conto ma, alla fine, emerge un qualcosa che rimanda quasi automaticamente al combo di Cracovia.

Uno stile su cui si basa la composizione dei brani, la cui comprensione è altrettanto ardua ma foriera di piaceri imprevedibili a priori. Sì, poiché emerge subito la tendenza a materializzare visioni distopiche di un Mondo arido, brullo, il cui cielo è grigio, buio, oscuro. La differenziazione fra i brani medesimi non è al massimo delle possibilità del songwriting, ma più che sufficiente per evitare il rischio di indurre alla noia. Bene o male si colgono, difatti, i passaggi specifici di una data canzone che, a lungo andare, vengono su spontaneamente. Da evidenziare l’intermezzo strumentale di ‘Aurora’, creato apposta per dividere idealmente in due il disco. Il quale si chiude con una suite assolutamente eccellente in tutti i suoi lineamenti fondativi, ‘Les Ruines de Pompei’, raccoglitrice finale di tutti i concetti sparsi per il platter. Emerge con forza, soprattutto, la componente lisergica per un’immersione pressoché totale nel glaciale buio di una Terra morente.

Davvero bravi in tutto e per tutto, i Redemptor. “Agonia” è un’opera da gustare a poco a poco per non perderne i numerosi istanti degni di menzione o, meglio, da mandare a memoria. Un lavoro non per tutti, si ribadisce ma, si sa, il death metal ha nelle sue corde una capacità naturale di trasformarsi e di essere comunque compreso in questa sua particolare peculiarità.

Daniele “dani66” D’Adamo

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