Recensione: Alive

Di Vito Ruta - 27 Novembre 2020 - 0:05
Alive
Etichetta: Pride & Joy Music
Genere: Hard Rock 
Anno: 2020
Nazione:
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73

Il neonato progetto teutonico Lazarus Dream, capitanato dal cantante Carsten Lizard Schulz (Evidence One, Domain, Dead End Heroes, Midnite Club) e dal polistrumentista Markus Pfeffer (Scarlett e Winterland), che si occupa egregiamente degli strumenti a corda e delle tastiere, coadiuvati dal potente batterista Thomas Kullman (Sinner, Voodoo Circle, Glenn Hughes) presenta “Alive”.

L’album, che vede la partecipazione di Thomas Rieder alle percussioni, Sabrina Roth al flauto, e Thomas Nitscke ai sintetizzatori, accosta a riff di grande aggressività chorus ad alta percentuale melodica, con tastiere e sint suonati con tocco che crea atmosfera e richiama il grande Vangelis, accecato dalla neve e prestato al rock.

Con “Dawn of Time” i Lazarus Dream mettono da subito le carte in tavola facendo seguire ad un riff di matrice Queensrÿche un refrain orecchiabile e lasciando libero Pfeffer di sparare il primo di una serie di assoli stratosferici. Meno frenetica risulta “House of Cards” che introdotta da una linea di chitarra melodica si distingue per l’attento arrangiamento vocale.
Sovrastrutture progressive non riescono a dissimulare il più classico spirito hard rock che ispira “Wings of An Eagle” nella quale Pfeffer rilascia scrosci di note.
Assolo introduttivo, riff teso alla Dokken, bridge e chorus gradevoli e “Can’t Take My Soul Away” è servita.
Il bel solo di chitarra non salva, invece, “Listen”, che sembra il tema di un telefilm anni 80.
I Lazarus Dream fanno mooolto meglio con “Fleshburn” che, tra orientaleggianti introduzione e chiusa di flauto, mantiene un ritmo serrato.

La robusta “The Healing Echoes” permette a Carsten Lizard Schulz un’ulteriore convincente prestazione e riesce a porsi un gradino più in alto della successiva “Desert Mind”, pezzo in puro stile AOR, senza infamia e senza lode.
La più partecipata “Visions And Sins” risolleva la media con apprezzabili chorus e solo.
Steam” riaccellera gradevolmente il ritmo e rimette sui binari rock i Lazarus Dream che propongono le briose “Don’t Blame” e “Hotel Overload”, dinamico e ben costruito pezzo hard rock che chiude il lavoro.
Oopss! Chiedo venia per la svista: “Hotel Overload” non è l’ultimo brano. Manca, infatti, all’appello, “Days Of Darkness And Rain” che, francamente, nulla aggiunge a quello che i Lazarus Dream avevano da dire.

Viste le capacità dei partecipanti al progetto, che nei brani azzeccati riescono a sorprendere, l’album nel suo complesso risulta più che dignitoso.
Ha, però, la pecca di offrire un livello compositivo altalenante, tra canzoni di deciso spessore e altre, meno riuscite, che sembrano costituire meri, quanto non necessari, riempitivi.

Sarebbe bastato eliminare qualche pezzo per rendere il tutto più snello, efficace e incisivo e fare di “Alive” una grande uscita.

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