Recensione: Anniversary

Di Mirco Gnagnarelli - 26 Febbraio 2012 - 0:00
Anniversary
Band: Cathedral
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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85

Un massiccio edificio con la pelle di camaleonte. Potremmo definire così la Cattedrale di Lee Dorrian: in circa vent’anni di vita le pareti di quelle imponenti navate non hanno mai avuto lo stesso aspetto, ornate ora da elementi gotici e magniloquenti, ora barocchi e ricercati. Arriva sempre però il momento in cui l’architetto e i capomastri devono fermarsi e riflettere sul proprio lavoro, valutando se concedersi il meritato riposo. Questo momento sembra essere giunto anche per i Cathedral ma, prima di aggiungere l’ultima guglia a questo elaborato complesso, i quattro di Coventry han deciso di prenderci per mano e offrirci un delizioso tour guidato del loro operato. Ecco “Anniversary”.

Nel corso del 2010 la band, col novello ed acclamato “The guessing game” fresco di pubblicazione, annuncia per la fine dell’anno uno show celebrativo dei vent’anni di attività. Lo spettacolo viene messo in scena a Londra e viene diviso in due set distinti: uno è quello ordinario proposto anche nel resto del tour; l’altro è qualcosa di così speciale che fino a quel momento ogni seguace del doom aveva relegato a fantasia quasi erotica. La band annuncia che, per la prima e ultima volta, avrebbe proposto “Forest of equilibrium” per intero e con la line up originale.
Come il verbo si fece carne, il sogno diventa realtà il 3 dicembre alla O2 Academy di Islington, con una location gremita ma non straripante a causa dei disagi causati dal maltempo (Londra in quei giorni è in ostaggio di neve e ghiaccio), ma pervasa da un’atmosfera a dir poco elettrica. Nessuna band d’apertura, solo una folla di devoti al cospetto della Cattedrale.


“Back to the forest”

“Ritorno alla foresta”, questo il titolo dato al primo dei due dischi-set. Lee Dorrian, Gaz Jennings, Mark Griffiths, Adam Lehan e Mike Smail sono insieme sul palco. Per la prima volta quel monumento di raro splendore che risponde al nome di “Forest of equilibrium” può ergersi in tutta la sua vertiginosa statura da un palco. Tutto è perfetto e poter sentire quei brani finalmente riproposti in maniera così fedele, flauto traverso e armonizzazioni comprese, è un’esperienza pressoché mistica. L’unica variazione sul tema è rappresentata dalla voce di Dorrian, non ruvida e cavernosa come un tempo, ma oggi più sinistra e suadente, pur concedendosi qualche imperfezione.
Qui salta fuori un altro pregio di questo live album: a differenza di molte release di questo tipo, infatti, qui non vi sono sovraincisioni; tutto è come è stato eseguito quella sera, ripreso fedelmente e conservato su disco. La maestosità di quei brani, che han fatto la storia di questo modo di intendere il doom, è qui catturata senza indugi dalle eteree note di “Picture of beauty and innocence”, passando per il classico up tempo “Soul sacrifice” arrivando alla chiusura, la vetta, la perfezione. “Reaching happiness touching pain” si staglia in tutta la sua pericolosa bellezza: il sinistro flauto, suonato da un evocativo William Summers in abiti monastici, aleggia sibilando sulle annichilenti note vomitate da Jennings e Lehan, come a mettere alla prova l’ascoltatore e la sua fermezza. Almeno una lacrima è d’obbligo.


“Freak winter”

Superato l’enigma della Sfinge, l’ascoltatore è ora pronto a dilettarsi coi “piaceri ultraterreni”. Il secondo disco-set tenta di coprire ciò che c’è stato fra il 1992 e il 2010, anche se dimentica colpevolmente i quattro album “di mezzo” della band. Nonostante questo la scaletta è da brivido e la band è in ottima forma e, una volta raggiunta dai fedeli compagni più longevi, Leo Smee e Brian Dixon, Dorrian e Jennings, si cimenta in ciò che ormai sa fare meglio di chiunque altro, ovvero sommergere l’ascoltatore con bordate di groove fuori dal comune e stacchi da capogiro.
Il sound, come per il primo disco, è potente e “vero”, totalmente avulso da artifici che ne intaccherebbero l’autenticità, con un basso stregato che spicca tra gli altri strumenti.

I brani selezionati vengono proposti con una furia pazzesca, tanto che alcuni risultano ancora più efficaci delle loro versioni studio. È il caso di “Upon Azrael’s wings” dell’ottimo “The garden of unearthly delights”, qui trasformata in un carro armato dall’incedere formidabile. C’è l’occasione di risentire, dopo anni di latitanza, l’irresistibile funky doom di “Midnight mountain” e si ha anche il tempo per un assaggio del nuovo album attraverso l’intro “The last spire pt.1 (Entrance)”, magistralmente eseguita dal tastierista Kevin “Munch” Moore.
La visita nel bizzarro e folle mondo della Cattedrale si conclude come da copione: “…guardatevi le spalle, perché sono Matthew Hopkins, inquisitore!”, così Dorrian/Hopkins ci dà il benvenuto nel suo Santo tribunale e il pubblico, che appare entusiasta durante tutta la durata dei due dischi, dimostra il suo assoluto coinvolgimento rispondendo sonoramente all’incitamento “Burn! Burn! Burn!”.
Dopo più di due ore di festeggiamenti si chiude il sipario sul ventesimo anniversario di una delle unioni più particolari e genuine che il nostro genere ci abbia mai offerto. Questo live album testimonia la grandezza di questa band e dà occasione, anche a chi quel 3 dicembre non c’era, di respirare quell’atmosfera fatta di disperazione e gioia che riempiva l’aria della O2 Academy. Chi invece, come me, era lì con le lacrime agli occhi e un sorriso ebete sul volto, non si lasci scappare l’opportunità di rivivere almeno in parte quelle stesse emozioni. Non ve ne pentirete.
 


Guida alle edizioni:

l’album è attualmente disponibile in Europa in due versioni: c’è il doppio jewel case standard, con l’artwork di Dave Patchett, illustratore storico della band e la consigliatissima versione deluxe (Rise above, RISECD140). La sua confezione molto curata (box rigido, cd racchiusi in due gatefold vinyl replica separati, poster e booklet di 40 pagine) e la sua limitazione a 5000 copie senza possibilità di future ristampe, ne fanno un bellissimo oggetto da collezione. Se invece siete amanti dell’import, potete ordinare la stampa americana dalla Metal blade, che è l’equivalente in digipak della standard europea. Per i cultori dell’analogico, infine, la versione in (quintuplo?) vinile dovrebbe arrivare nel 2012, sempre su Rise above.

Mirco “AbysS” Gnagnarelli

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Tracklist:

Disc 1

1.    Picture of Beauty and Innocence
2.    Comiserating the Celebration
3.    Ebony Tears
4.    Serpent Eve
5.    Soul Sacrifice
6.    A Funeral Request
7.    Equilibrium
8.    Reaching Happiness, Touching Pain
 
Disc 2

1.    Funeral of Dreams
2.    Enter the Worms
3.    Upon Azrael’s Wings
4.    Midnight Mountain
5.    Cosmic Funeral
6.    Carnival Bizarre
7.    Night of the Seagulls
8.    Corpsecycle
9.    Ride
10.    The Last Spire pt.1
11.    Vampire Sun 1
12.    Hopkins (Witchfinder General)

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