Recensione: Anno 1696

Di Daniele D'Adamo - 24 Febbraio 2023 - 0:00
Anno 1696
Band: Insomnium
Genere: Death 
Anno: 2023
Nazione:
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84

Nono disco in carriera per gli Insomnium: “Anno 1696”. Un concept, per essere più precisi. Alimentato dalle anime innocenti delle donne sacrificate poiché tacciate come streghe in nome di un dio crudele, impietoso e sanguinario. Periodo? Fine XVII secolo. Luogo? Scandinavia. Episodio cardine? Le settanta decapitazioni avvenute nel 1696 a Torsåker, in Norvegia.

Un tema forte, che ha segnato l’Umanità quale minimo storico di umanità, entrando profondamente e dolorosamente nel cuore della storia del tardo Medioevo. Un tema che, però, per via delle tante emozioni coinvolte, si presta ottimamente come scheletro musicale per un’opera completa, caleidoscopica, matura, piena sino a scoppiare di… tutto.

Sì, matura. Perché proprio con quest’album il combo finlandese raggiunge una elevata qualità compositiva a tutto tondo, manifestando un talento eccezionale nello strutturare brani diversi fra loro e diversi, pure, al loro interno. Come se ciascuno di essi fosse un mondo a sé stante, facente tuttavia parte del medesimo sistema artistico.

“Anno 1696” si rivela essere piuttosto diverso dai lavori precedenti, un po’ più semplici sia come songwriting, sia come pletora di sentimenti, sia come quantità di elaborazioni musicali. Se prima il melodic death metal era impregnato fondamentalmente di malinconia, ora emergono fra le tracce numerosi singulti di commozione.

Tracce davvero interessanti. Spesse. Ricchissime di singolarità mai uguali e, soprattutto, fortemente caratterizzanti l’evoluzione compiuta dai Nostri. La melodia la fa da padrona, certo, ma non nel modo in cui i fan si sono abituati nel corso degli anni. La variabilità del disco, difatti, consente di gustare segmenti che tracciano la via maestra partendo da delicati arpeggi acustici (‘The Unrest’) sino ad arrivare alla furia devastatrice dei blast-beats (‘The Rapids’). Via maestra a volte dolcemente sinuosa per accarezzare l’orecchio, a volte infuocata per stordire la mente ma sempre tirata a lucido dalla combinazione di tecnica strumentale, produzione discografica, esperienza e, giova ripeterlo, tanto talento.

Sicuramente “Anno 1696” non è un LP di rapida assimilazione. Anzi, occorrono parecchi passaggi sotto al naso affinché esplodano le innumerevoli bellezze che lo caratterizzano. Maestose orchestrazioni, morbidi tappeti di tastiere, delicati ricami dorati cuciti dalle chitarre soliste, decisi richiami al folclore nordico (‘Godforsaken’), cori leggendari (‘Starless Paths’). E tanto altro ancora, che va scoperto a mano a mano che si avanza con gli ascolti. Fra cui l’hit ‘Lilian’, pregna di armonia sino a traboccare dalle sue stesse strofe. Ovviamente non si tratta di mainstream, ma di delizia per i palati più fini che bazzicano i territori del metal estremo.

Difficile anzi impossibile trovare un punto debole fra le canzoni. Non ci sono riempimenti/filler giusto per tappare vuoti d’ispirazione. I cinquanta minuti di durata del platter sono pieni di musica, zeppi di memorabili passaggi debordanti pura potenza alternati a soffici melodiosità. Niilo Sevänen, bassista, dipana le linee vocali interpretandole in mille modi sì che non risultino mai noiose, regalando agli appassionati una grande prova da cantante puro. Assieme a lui, gli altri. Campioni nel proprio strumento, per una prestazione globale ai massimi livelli tecnico/artistici che attualmente si riescano a raggiungere nell’ambito del metallo oltranzista. Come dimostra, giusto per focalizzare un esempio, ‘White Christ’, il cui trascinante incedere e il cui ritornello si stampano a mò di marchio a fuoco all’interno della scatola cranica.

“Anno 1696”. Insomnium. Quanto di meglio esista, sulla Terra, in materia di death metal melodico e non solo.

Daniele “dani66” D’Adamo

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