Recensione: Apex

Di Marco Donè - 6 Giugno 2017 - 0:01
Apex
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Gli Unleash the Archers tornano sulle scene a due anni di distanza da “Time Stands Still”, un disco che, sfruttando il trampolino di lancio dettato dall’allora nuovo deal con la prestigiosa Napalm Records, permise al quintetto canadese di farsi conoscere al grande pubblico. Il lavoro del 2015, pur presentando qualche ingenuità nel songwriting, metteva in mostra tutte le potenzialità di una formazione che faceva ben sperare in previsione futura, diventando una delle compagini su cui puntare per quel ricambio generazionale sperato, e spesso invocato, dall’intero mondo del metallo pesante. È del tutto naturale, quindi, che attorno alla nuova fatica griffata Unleash the Archers vi siano forti aspettative e tanta curiosità. Saprà “Apex”, questo il titolo del quarto full length della band di Vancouver, centrare il bersaglio e non tradire le attese?

 

Per scoprirlo dobbiamo inserire “Apex” nello stereo e pigiare il tasto play. Bastano le note iniziali dell’opener ‘Awakening’ per mettere in evidenza una produzione estremamente curata, nettamente superiore a quella presente in “Time Stands Still”, frutto del gran lavoro operato dalle esperte mani di Jacob Hansen in cabina di regia. Il risultato è un album caratterizzato da un suono graffiante, aggressivo e, allo stesso tempo, pulito, al passo con quanto proposto dai nomi più blasonati della scena heavy e power. Altra caratteristica a balzare all’attenzione durante l’ascolto, è il totale abbandono della componente melodic death presente nel recente passato. Gli Unleash the Archers decidono di puntare maggiormente su sonorità più classiche ed epiche, con l’intento di valorizzare al massimo il concept fantasy che sta alla base di “Apex”. Oltre agli elementi power che hanno sempre caratterizzato il sound del quintetto canadese, incontriamo così richiami agli Iron Maiden in ‘Shadow Guide’ e nella conclusiva title track, una tipica struttura di matrice tedesca in ‘Earth and Ashes’, echi di Queensrÿche in ‘False Walls’, senza dimenticare una forte carica emozionale, dettata da un perfetto mix tra partiture in your face e altre più teatrali e ricche di pathos. Il risultato è un disco compatto, più omogeneo ed equilibrato rispetto al precedente. Un lavoro sicuramente non originale ma che si assicura una certa longevità agli ascolti.

 

Apex” non lascia un attimo di respiro. È un treno in corsa lanciato a velocità sostenuta che inizia il proprio viaggio, della durata di un’ora, con la terremotante ‘Awakening’, perfetto biglietto da visita del disco. Quintalate di acciaio pesante si susseguono in una canzone dalla forte connotazione heavy-power, in cui gli Unleash the Archers mettono in mostra tutti i tratti salienti della propria “nuova” dimensione: riffing energico, assoli curati e che si lasciano “cantare”, sezione ritmica incalzante e una dinamica coinvolgente. Linee vocali accattivanti, potenti, pronte a sfociare in ritornelli azzeccati, che si stampano in testa già dal primo ascolto. Questa miscela risulta particolarmente riuscita nei passaggi iniziali di “Apex”, dove incontriamo i capitoli migliori del disco. Canzoni come la già citata ‘Awakening’, l’assalto frontale di ‘The Matriarch’, che sembra studiata per offrire la massima resa in sede live, o il singolo ‘Cleanse the Bloodlines’, uno degli inni epic metal di questa prima parte di 2017. Senza dimenticare il classic power di ‘The Cowards Way’. Nella seconda fase, invece, “Apex” rallenta un attimo, perdendo parte di quella carica, di quell’ispirazione che aveva fin qui contraddistinto la nuova opera degli Unleash the Archers. Incontriamo qualche composizione più scontata, come nel caso di ‘Call Me Immortal’, o canzoni che alternano passaggi estremamente ispirati ad altri che non convincono appieno, vedasi la già citata ‘False Walls’. Piccole incertezze, che vengono presto spazzate via dalla conclusiva title track, che riporta l’album all’interno dei corretti binari, innescando quel meccanismo, quel desiderio di premere nuovamente play e ricominciare l’ascolto. Un qualcosa che avviene solo con quei dischi capaci di creare un ponte emotivo con l’ascoltatore, con quei lavori caldi, realizzati da formazioni che, prima di essere musicisti, risultano veri e propri fan della musica dura. Caratteristica sempre più rara dall’avvento del nuovo millennio in poi.

 

La prestazione dei singoli è di prim’ordine, in completa funzione della struttura canzone. Spiccano, in particolare, il lavoro delle due asce, Grant Truesdell e Andrew Saunders, autori di una prova convincente sia in fase ritmica che solistica, limitando i tecnicismi solo dove le canzoni lo permettono. Il nuovo membro Nikko Whitworth sembra essersi trovato immediatamente a proprio agio nei meccanismi degli Unleash the Archers, creando gran groove con il suo basso e ritagliandosi un ruolo da protagonista in più di qualche traccia. Un acquisto importantissimo nell’economia del platter e, probabilmente, per il futuro della band stessa. Sorprende l’evoluzione di Scott Buchanan alle pelli, che nel precedente full length era sembrato, forse, l’anello debole della formazione canadese. Vengono superate tutte le ingenuità espresse in “Time Stands Still”, diventando un vero e proprio rullo compressore, puntando su un approccio più classic power, dimensione in cui sembra poter dare il meglio di sé, dimostrando certe “abilità” da randellatore non espresse nel recente passato. All’appello manca lei: Brittney Slayes. La sua prova al microfono fa letteralmente la differenza. Calda, teatrale e tecnica, nelle sue linee vocali incarna l’autentico spirito dell’heavy metal, spingendo sui falsetti, diventando, all’occorrenza, melodica, evocativa, potente. Una prestazione da urlo, tanto che le parti growl di Saunders si riducono, trovando spazio in quei frangenti del concept in cui è richiesta maggiore drammaticità.

 

Apex” rappresenta un capitolo importantissimo nella carriera degli Unleash the Archers, un lavoro attraverso cui il quintetto canadese sembra aver definitivamente trovato la strada che gli possa permettere di rappresentare al meglio la propria personalità. Non è ancora il disco dell’effettiva maturazione in quanto, come descritto in sede di analisi, qualche piccolo passaggio meno ispirato aleggia durante l’ascolto. Risulta, però, un importantissimo passo in avanti in questa direzione. Gli Unleash the Archer si confermano una band da tenere d’occhio, mai come questa volta la scena più classica potrebbe aver trovato gli eroi del domani. Avanti così!

 

Marco Donè

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