Recensione: Aphotic

Di Damiano Fiamin - 12 Giugno 2011 - 0:00
Aphotic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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69

Che musica fanno i Novembers Doom? Ponendo questa domanda a diverse persone, otterrete altrettante risposte. Al quintetto statunitense è sempre andata stretta un’etichetta ben definita; per chi non li conoscesse, e non sono pochi, ci aggiriamo nel territorio del death metal melodico, sebbene arricchito da pennellate di vernice cupa e soffocante. Formatisi alla fine degli anni ’80, questi ragazzi dell’Illinois hanno pubblicato il loro primo album nel 1995 e, da allora, hanno continuato ad incidere CD di buon livello con cadenza regolare. A due anni dal discusso Into Night’s Requiem Infernal, il gruppo capitanato da Paul Kuhr ci propone un nuovo viaggio nelle profondità abissali. Già dalla splendida copertina, possiamo intuire a cosa andiamo incontro, una vera e propria discesa nel buio della nostra psiche.

Il disco si apre con un violino che, lento ed ipnotico, ci conduce all’esplosione di The Dark Host, dove growl e voce pulita si alternano su una base cadenzata in maniera piuttosto sostenuta fino a metà del pezzo; il ritmo decresce improvvisamente, la musica culla l’ascoltatore portandolo a quella calma senza luce che non presagisce tranquillità ma solo la lucida consapevolezza del buio che sta per arrivare, l’inverno dell’anima. Harvest Scythe è un pezzo potente e lucidamente maniacale, scoperchia il vaso che contiene la follia all’interno di ognuno di noi e ci mette innanzi all’ineluttabilità della nostra natura, bianco e nero si accompagnano inevitabilmente e, per quanto ci si provi, non potremmo mai districarli. E’ proprio il nostro lato oscuro a fare da filo conduttore attraverso i vari pezzi, una sorta di psicanalisi fredda ed annichilente che lascia nell’ascoltatore un senso di desolazione e di vuoto interiore difficile da colmare. Come sempre, i testi sono uno dei punti di forza del gruppo mentre la composizione musicale risulta piuttosto compatta: chitarre e basso si prodigano in riff massicci, accompagnate da un profondo growl; fanno da contraltare intermezzi più puliti sia per quanto riguarda la voce che per quanto riguarda gli strumenti, dove il ritmo rallenta e si ha l’opportunità (una subdola costrizione, in realtà), di procedere ad una lucida riflessione su noi stessi. L’unica traccia che si discosta da questo schema è la ballata What Could Have Been dove la voce di Anneke Van Giersbergen, famosa ai più per essere stata la cantante dei The Gathering, si adagia su un letto di note pacate e malinconiche, in una composizione di melodica ed onirica introspezione; il risultato è piacevole anche se notevolmente sotto tono rispetto agli altri brani. Procedendo nell’ascolto, si giunge alla conclusione che è l’amalgama compositiva ad essere il problema maggiore dei Novembers Doom; nonostante le contaminazioni ed i diversivi tentati, non riescono a discostarsi sufficientemente dalla massa, perdendo l’occasione per spingersi quel tanto che basta per superare o, perlomeno, affiancare la concorrenza di gruppi come Opeth o Moonspell. La produzione non raggiunge mai livelli deludenti ma tende ad appiattirsi su un livello di compiacente sufficienza, appagante ma incapace di durare nel tempo.

Aphotic è un buon album, anche se non possiede alcun elemento che lo faccia risaltare in maniera particolare; i Novembers Doom dovrebbero fare il punto della situazione e decidere se proseguire sulla strada della blanda sperimentazione, buona per togliersi qualche sfizio artistico senza scontentare i fan, se intraprendere una via più avanguardista o se consolidare quanto fatto sin’ora per raggiungere finalmente un livello ottimale che, non dubitiamo, è sicuramente alla loro portata. La capacità compositiva c’è, la tecnica musicale anche, bisogna solo trovare il modo di far funzionare l’alchimia. Purtroppo, l’indecisione traspare nella produzione e continuare in tal senso non porterà sicuramente alcun bene ad un gruppo che ha tutte le carte per ambire a vette più alte.

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Tracklist:

  1. The Dark Host – 8:06
  2. Harvest Scythe – 5:40
  3. Buried – 6:32
  4. What Could Have Been – 6:31
  5. Of Age And Origin – Part 1: A Violent Day – 5:02
  6. Of Age And Origin – Part 2: A Day Of Joy – 3:16
  7. Six Sides – 7:47
  8. Shadow Play – 7:46

Formazione:

Paul Kuhr – Voce
Vito Marchese – Chitarra
Joe Nunez – Batteria
Larry Roberts – Chitarra
Chris Djuricic – Basso

Ospiti:

Anneke Van Giersbergen – Voce
Dan Swanö – Voce
Rachel Barton Pine – Violino
Ben Johnson – Tastiera

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