Recensione: At the Heart of Wintervale

Di Stefano Usardi - 22 Febbraio 2023 - 10:00
At the Heart of Wintervale
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power  Symphonic 
Anno: 2023
Nazione:
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76

At the Heart of Wintervale” è il quarto disco degli svedesi Twilight Force, nonché il secondo con il nostrano Alessandro Conti alla voce. Nonostante una semi citazione (più o meno voluta, chi lo sa) agli Immortal, il nuovo lavoro del quintetto si mantiene sulle coordinate che abbiamo imparato a conoscere e conferma le doti compositive già messe in mostra col precedente “Dawn of the Dragonstar”. Per chi non li conoscesse, i Twilight Force propongono un power metal enfatico, gioioso e propositivo, con elementi briosi e frizzanti e cafonaggine a palate, il tutto condito da cori imponenti e la giusta dose di autoironia. I richiami ai primi lavori dei Rhapsody Non–ancora–of–Fire sono sempre stati evidenti nell’opera dei norreni, ma ciò di certo non li riduce a una semplice copia carbone del combo giuliano (o comunque non solo a quello). I nostri, infatti, sono riusciti a trovare una loro quadratura del cerchio tra metal pomposo e cinematografico ed elementi più scherzosi, creando un vortice compatto e coinvolgente dallo spiccato profumo di saga fantasy messa in musica. Niente di nuovo sotto il sole, come avrete già immaginato, ma ciò non toglie che “At the Heart of Wintervale” metta in mostra canzoni solide e appaganti, dal piglio propositivo e molto omogenee (forse troppo, a dirla tutta) nel loro dipanarsi lungo i suoi tre quarti d’ora: ideali per distendere i nervi e distrarsi dalle preoccupazioni.

Si parte subito scoppiettanti con la celebrativa “Twilight Force”, pezzo brioso e potente in cui i nostri mettono bene in mostra gli elementi della loro proposta: chitarre veloci e melodie frizzanti, zuccherose ed immediate, distese su ritmi arrembanti fatti apposta per mettere di buonumore. La title track procede sulle stesse coordinate, puntando maggiormente sull’enfasi trionfale punteggiata, di tanto in tanto, da profumi ora neoclassici ora debitori di certe colonne sonore di Elfman. Si arriva ora a “Dragonborn”, che nella sua estrema linearità risulta, a mio avviso, una delle tracce migliori dell’album per tasso di coinvolgimento: a un’apertura sporcata di folk seguono melodie da sigla dei cartoni animati su cui si innesta un messaggio altrettanto ruffiano. Sembrerebbe la ricetta perfetta per il disastro, eppure la linea melodica si stampa immediatamente nella testa e non ne esce più. Si arriva ora alla flebile melodia di piano che apre “Highlands of the Elder Dragon”, il cui retrogusto da tema principale di Forrest Gump si carica improvvisamente di pathos per esplodere nella prima suite di “At the Heart of Wintervale”. Ritmi saltellanti e melodie solari si appropriano della scena, screziati di tanto in tanto di passaggi più cinematografici e improvvise fiammate maestose, come impongono i diktat concernenti le lunghe suite. Ecco quindi cambi atmosferici ripetuti, ritorni della melodia portante e intermezzi narrativi: tutto al proprio posto e senza grosse sorprese, insomma, ma che alla fine funziona e scorre abbastanza bene.
Skyknights of Aldaria” si apre su una melodia imperiosa che introduce una classica cavalcata dominata da ritmi agili e melodie corali maestose e sopra le righe. Il tono della traccia saltella tra queste melodie e passaggi più drammatici, carichi di aspettativa, che tengono viva l’attenzione e traghettano alla breve “A Familiar Memory”, intermezzo strumentale dall’intenso sapore bucolico. Si torna sull’attenti con l’arrembante “Sunlight Knight”, che recupera il fare propositivo e trionfale della title track incedendo con fare scanzonato e brioso senza, però, farsi mancare qualche piccolo tocco di classe (come il fraseggio caraibico della parte centrale, assolutamente senza senso ma godibilissimo col suo retrogusto da limbo party). Una melodia dal piglio enfatico ed arioso introduce la seconda suite di “At the Heart of Wintervale”: “The Last Crystal Bearer”. Anche qui i nostri fanno tutto in maniera ligia e zelante, facendo largo uso di melodie epiche dallo spiccato profumo cinematografico per creare un tessuto sonoro avvolgente, ideale sottofondo per intermezzi narrati che sviluppano la storia tra un crescendo enfatico e improvvisi squarci di volta in volta più cupi o rilassati. Rispetto alla precedente suite il tasso di coinvolgimento è forse più elevato per via di una maggiore ariosità delle composizioni, che nonostante qualche ruffianeria di troppo riflettono giustamente il climax dell’album. Il compito di chiudere il sipario su “At the Heart of Wintervale” è affidato a “The Sapphire Dragon of Arcane Might is Back Again”, rilassata traccia acustica dal profumo bucolico, utilissimo per smorzare l’enfasi che ha caratterizzato tutto l’album col suo fare vagamente country.

Nonostante il profumo di musica da cartoni animati che pervade “At the Heart of Wintervale” non posso fare a meno di notare come il quintetto italo/svedese abbia confezionato un lavoro solido e appagante che, pur senza aggiungere nulla al panorama power odierno, assicura tre quarti d’ora di musica propositiva e splendidamente cafona. Sebbene “At the Heart of Wintervale” si indirizzi principalmente ai fan di certe sonorità costituisce un ottimo e rinfrescante divertissement musicale, perfetto per ricaricare le batterie dopo una giornata stressante.

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