Recensione: Autopsychosis

Di Daniele D'Adamo - 28 Gennaio 2013 - 0:00
Autopsychosis
Band: Katalepsy
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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60

Sicuramente una delle realtà più conosciute provenienti dalla Russia in ambito brutal, i Katalepsy giungono al secondo album in carriera dopo “Musick Brings Injuries” (2007), due demo (“Femicide”, 2003; “Your Fear Is Our Inhabitancy”, 2010) e due split (Barbarity/Smersh/Posthumous Blasphemer, 2004; “Triumph of Evilution”, Fleshrot/Blunt Force Trauma, 2008).

“Autopsychosis”, questo il titolo del nuovo lavoro, arriva in un momento di gran forma della band, sempre più impegnata a raggiungere il difficile obiettivo di rientrare nel cosiddetto ‘american slamming brutal death metal’ che, tanto per capire, comprende gente che fa dell’‘ipergutturale’ il proprio stile di vita come i Suffocation, i Devourment, i Pathology.

Come si sa, oltre a lanciarsi nelle inumane ‘suinate’ dell’inhale, chi pratica questo genere deve avere dalla sua un alto tasso di tecnica strumentale, poiché le vertiginose e caratteristiche velocità raggiunte dai blast-beats si devono sincronizzare alla perfezione con il resto di un sound mostruoso in termini sia d’impatto sonoro, sia d’indigeribilità della proposta complessiva. Fatta di spaventosi rallentamenti, pesanti come degli schiaffoni in piena faccia, e di titanici muraglioni di suono; eretti dal sinergico intreccio delle chitarre e del basso. Chitarre che rigurgitano una quantità pressoché infinita di riff, questi compressi e possenti come da scuola thrash, anche se terribilmente più vari e, soprattutto, arzigogolati come rompicapi; in aggiunta al ruggito di un basso impegnato come un ossesso a cucire senza tregua le complesse divagazioni degli altri membri. E, in questo, i Katalepsy non sono secondi a nessuno: la loro abilità esecutiva è sbalorditiva e non mostrano benché il minimo vizio o difetto in tutte le componenti del loro sound. Nemmeno per quanto riguarda le linee vocali, che Igor Filimontsev interpreta con professionalità e naturalezza totale, meritando per ciò il premio Oscar dell’ihnale. Un quintetto che sembra nato con gli strumenti musicali in mano, insomma, magari in una città degli States del Sud e non nella glaciale Mosca.           
 
Purtroppo per i Nostri, il freddo inzuppa non solo il loro groove – e qui la circostanza si può ammettere giacché il brutal death metal non ha certamente dei connotati latini e quindi melodici… – ma anche il relativo songwriting. Le song, cioè, raramente mostrano degli spunti tale da ingenerare, in chi ascolta, un’attenzione particolare. Se non si è proprio dei fanatici del genere diventa assai arduo trovare delle differenze fra “Autopsychosis” e tanti, troppi altri colleghi di… partito. La copertina, la grafica e i temi trattati sono del tutto scontati e, anche se possono ben rappresentare l’ortodossia ‘brutallica’, paiono ormai aver fatto il loro tempo. Ma il punto è che anche la musica soffre di questa mancanza d’innovazione, intestardendosi su dei cliché triti e ritriti. Quelli che sono stati più su evidenziati e che sono i segni distintivi di una foggia musicale ben definita e organica, si rivoltano sulla formazione russa costringendola quasi a incanalare a forza le sue idee su dei binari già percorsi, che non portano a nulla di nuovo. In fondo, come hanno dimostrato – seppur parzialmente – i Pathology con il loro “The Time Of Great Purification”, la bravura di un complesso è quella di partire da una base solida come la fissazione delle coordinate stilistiche, per poi muoversi all’interno di esse cercando di elaborare un progetto se non proprio originale, almeno dotato di personalità. Qui, invece, i Katalepsy paiono fallire: a parte la trascinante forza scardinatrice dei riff portanti l’incipt di “Knifed Humility”, tutto il resto sembra naufragare nell’abissale oceano di note e accordi che assemblano i brani. Una mole che, obiettivamente, non mostra crepe da nessuna parte ma che, insieme, appare esageratamente monolitica e uniforme; lasciando a chi ascolta poche speranze per qualche passaggio diverso dal solito.

Solo per super-appassionati.    

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Lurking In The Depth 3:39     
2. Evidence Of Near Death (E.N.D.) 2:39     
3. Body Bags For The Gods 3:00     
4. Cold Flesh Citadel 3:41     
5. The Pulse Of Somnambulist 4:04     
6. Unearthly Urge To Supremacy 3:37     
7. Gore Conspiracy 4:00     
8. Amongst Phantom Worlds 4:06     
9. Needles Of Hypocrisy (Interlude) 1:59       
10. Knifed Humility 4:23     
11. Taedium Vitae 5:02                 
    
Durata 40 min.

Formazione:
Igor Filimontsev – Voce
Anton – Chitarra
Dmitry – Chitarra
Anatoly – Basso
Evgeny – Batteria
 

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