Recensione: Awaken the Gods

Di Daniele D'Adamo - 17 Agosto 2025 - 12:00

«Cercherò, nel Mondo sconfinato dei ricordi, gli dei dormienti che giacciono al centro di tutto, in attesa che io scopra me stesso e che li risvegli dal loro sonno»

Questa mirabile visione di un Mondo che sarà dominato da una moltitudine di dei è quella dei Concrete Age, una band che, nata in Russia, si è poi trasferita nel Regno Unito. Una band che, così come si definisce, pratica l’ethnic metal. Genere che in realtà abbraccia più generi e sottogeneri, come dimostrano i Bloodywood, i The Hu, i Tengger Cavalry. Tant’è che nel caso in ispecie ciò che si avvicina di più al sound proposto è il melodic death metal.

Melodic death metal intriso dal suono degli strumenti folcloristici russi manovrati da Ilia Morozov responsabile, anche, di voce e chitarra. Benché si possano rinvenire numerose tracce di altri generi come per esempio il thrash, il combo russo mira dritto alla furibonda potenza del death metal. Grazie, in primis, dal rauco e cattivo growling del ridetto Morozov, assolutamente degno di menzione quando il ritmo si alza sino a raggiungere le bordate dei blast-beats (sic!). Ma altrettanto bravo a intonare ritornelli con la voce pulita.

La chitarra è anch’essa in primo piano e, assieme alle linee vocali di Ilia, costruisce la struttura di base sulla quale montare le membrature deputate a fornire il carburante alle esplosive tracce del disco. Il basso di Giovanni M Ruiu romba in sottofondo, ma neanche troppo, per irrobustire un sound che alla fine dei conti si rivela essere totalmente trascinante per via della dinamicità della batteria. Ecco che, allora, l’appartenere alla frangia più oltranzista del metal è un fatto del tutto naturale.

Certo, poiché la musica dei Nostri è concepita per essere generata a grandi watt dalla strumentazione normale, sulla quale inserire quella etnica. Un concetto importante, questo, giacché fornisce il sigillo alla definizione di melodic death metal. Che, così elaborato, risulta praticamente unico al Mondo. Originalità, quindi, che consente al combo di stanza a Londra di essere riconosciuto con una più che buona personalità da parte degli amanti del genere estremo, ma non solo.

Sembrerebbe tutto facile ma non lo è affatto. Coordinare tutta la strumentazione assieme al cantato esige di una rilevante lucidità mentale in fase di songwriting per evitare confusione, sfilacciature, cali di tensione, caos. Tutto ciò non avviene con il mantenimento, durante tutta la durata dell’album, dei dettami fondamentali che, come DNA, assegnano l’univocità a ogni formazione figlia di Euterpe.

Esempi di questa affermazione ce ne sono tanti, nell’LP, citando tanto per dire “Awaken the Gods“, tremendo mid-tempo da spaccare le ossa, condotto dal ritmo costante degli strumenti natii per sfociare un refrain assolutamente irresistibile. Certamente si è lontani dalle forme più ortodosse del melodic di death metal, purtuttavia i suoi segni caratteristici, si ribadisce, ci sono tutti.

Altro esempio che dipinge a tratti decisi lo stile del combo proveniente da Mineralnye Vody è “Cursed Reincarnation“, violentissimo attacco fonico dell’energia dirompente, che travolge tutto e tutti senza fare prigionieri. Attacco alla giugulare guidato dall’incedere derivante dalle parole intrise di rabbia di Morozov che, all’improvviso, apre a un segmento molto più calmo e tranquillo ove dare vita a un ritornello avvolto dal suono dei suoi strumenti popolari.

E così via (“Mid-East Boogie“), con brani ben diversi gli uni dagli altri ma ubbidienti a ciò che insegna lo stile come detto unico dei Concrete Age. A tal proposito, accanto a una preparazione tecnica di livello professionale (ignoto il motivo per cui “Awaken the Gods” sia solo un’autoproduzione, benché distribuita da una società importante come l’Imperative PR), vive, pulsa un talento compositivo fresco, moderno, capace di dare alla luce delle gran belle canzoni la cui anima è spiccatamente impareggiabile sulla faccia della Terra.

Daniele “dani66″ D’Adamo

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