Recensione: Beyond What Eyes Can See

Di Daniele D'Adamo - 29 Agosto 2025 - 12:00
Beyond What Eyes Can See
Band: Thorn
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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73

Ancora una volta, il concetto di one-man band scivola dal suo habitat preferito, che è quello del black metal, per raggiungere e aspirare gli aspri miasmi che identificano in maniera univoca l’odore del death metal. In questo caso trattasi del coraggioso Brennen Westermeyer che, con il nuovo full-length “Beyond What Eyes Can See“, raggiunge il numero quattro in materia di dischi completi.

Non poco, se si pensa che il Nostro ha messo su i Thorn soltanto cinque anni fa, giungendo in tale lasso di tempo, addirittura, alla stipula del contratto discografico con l’etichetta specializzata indiana Transcending Obscurity Records, in grado di spalancare il mercato discografico internazionale e rendere quanto più visibili, quindi, le sue produzioni.

Ma cos’hanno di tanto speciale i Thorn, per uscire dagli abissi dell’underground fatto in casa per entrare in quello realizzato in maniera professionale (perché pur sempre di underground si tratta)? Sul fatto che il musicista statunitense sia in grado di tenere in mano i vari strumenti non c’è dubbio, così come non c’è difetto nella sua interpretazione delle linee vocali, che svoltano in un sempiterno growling estremamente profondo. Perfetto per il genere ma un po’ meno per chi dovesse rilevare i testi. Tutto ciò, però, si manifesta in un sound certamente personale ma non proprio originalissimo, giacché ancorato a doppia corda all’old school death metal.

Quello che, perlomeno a parere di chi scrive è davvero interessante, è la capacità del mastermind di Phoenix di dipingere scenari che hanno come oggetto le più remote cavità della Terra, irraggiungibili ai più, in cui si manifesta lo spirito da cui diparte l’energia vitale per creare opere di death metal vecchio stile così com’era quando, nella seconda metà degli anni ottanta, nasceva da una miscela rovente in furibonda rotazione composta da thrash e black metal.

Non solo questo, però. Come dimostrano la seconda parte di “Entombed in Chrysalis” e l’intera “Gloaming Corporeal Form“, formate essenzialmente da rumori ambient tali da fare accapponare la pelle, Westermeyer riesce ad ammantare “Beyond What Eyes Can See” da una forte, potente, carica atmosferica.

Ascoltare ad alto volume i brani dell’LP determina l’insorgere di uno stato di allucinazione ove appaiono immaginari abissi le cui pareti nerastre mostrano i rudimenti di una presenza tangibile, fra graffiti rupestri antichi come eoni, nonché strutture dalle dimensioni non-euclidee che suggeriscono la presenza di esseri innominabili, non di questa Terra.

Si tratta di una sensazione davvero intensa, che trasporta chi ascolta in una dimensione nella quale imperano morte, dissoluzione, decomposizione, sfascio, e tutto ciò che ne consegue, compreso l’odore di death metal di cui si faceva cenno più su. Tutto quanto serve per tratteggiare, con la musica, un Mondo in cui non c’è luce se non quella artificiale, quella delle torce, destinato a fagocitare le creature che lo abitano.

Per raggiungere questo scopo, oltre all’utilizzo del growling e dell’ambient, i Thorn partoriscono un riffing in cui la chitarra cuce accordi cadenzati, picchiati, dal suono che riempie la bocca di putredine; accordi spinti lentamente dall’incedere cadenzato della batteria. Ovviamente non mancano brani più movimentanti dallo scatenamento dei blast-beats (“Ooze Maelstrom“), purtuttavia il concetto non cambia. Il suono marcio della sei corde quando affronta la fase ritmica è un altro elemento distintivo del tuttofare proveniente dall’Arizona. Ma alla bisogna contribuisce anche quand’essa, la chitarra, nella fase solista ricama lugubri arazzi che si intonano perfettamente con tutto ciò che contiene il resto del platter.

Questo è “Beyond What Eyes Can See“. Un’opera apparentemente semplice, lineare, che non presenta alcuna difficoltà sia compositiva, sia realizzativa ma che, grazie alla sua profondità emotiva, riesce a rendersi accattivante, se così si può dire, alle orecchie dei fan dell’old school death metal.

Daniele “dani66” D’Adamo

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