Recensione: Blues For The Red Sun

Di Mirco Aserio - 21 Maggio 2011 - 0:00
Blues For The Red Sun
Band: Kyuss
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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95

All’inizio degli anni ’90 in California, più precisamente a Palm Desert, qualcosa si muove; mentre la scena grunge si diffonde a Seattle, in un’altra parte degli stati uniti si sviluppa il cosiddetto stoner rock (genere il cui nome deriva da stoned letteralmente “sotto effetto di droga”). I Kyuss sono fra i precursori nonché padri fondatori del genere: nascono nel 1988 e fanno uscire nel 1990 il loro primo lavoro sotto il nome Sons of Kyuss, un disco limitato a poche migliaia di copie molto vicino a un demo anche come resa sonora. Il debutto vero e proprio lo si ha l’anno successivo con il disco Wretch questa volta uscito sotto il monicker Kyuss. Senza prendersi troppe pause nel 1992 esce Blues for the Red Sun, disco della consacrazione mondiale per la band e vera e propria bibbia del genere stoner.


Il quartetto di Palm Desert, composto per questo disco da John Garcia alla voce, Josh Homme alla chitarra, Nick Olivieri al basso e Brant Bjork alla batteria (tutti nomi non nuovi per chi conosce un po’ di stoner rock) si rifà principalmente a un sound anni ’70 usando anche strumentazioni tipiche dell’epoca (strumentazioni valvolari ad esempio) ma il risultato ottenuto però è ben lontano da un semplice “Revival” bensì riescono a coniare un sound unico e fresco. Le chitarre hanno un suono grasso e sporco dovuto ad accordature ribassate e all’abitudine di Josh Homme di usare amplificatori per basso a cui attaccare la sua chitarra, il basso è distorto e sempre ben udibile e la voce di Garcia è uno dei punti di forza della band nonchè fra le migliori e più personali voci del panorama stoner rock.


La musica che ci propone la band su questo disco è principalmente ritmica (le parti soliste son sporadiche e quelle poche pure brevissime), Homme alterna riff più diretti a riff più lenti e cadenzati, la batteria di Bjork scandisce benissimo il tutto e dona “tiro” al disco. Le esplosioni psichedeliche tanto care agli anni ’70 non sono assenti su questo disco e la componente blues pure è importante (il titolo del disco non è stato scelto a caso).


Le 14 tracce del disco sono 14 gioielli (diciamo 13, dato che la finale Yeah è un “joke” della band) ognuna dotata di personalità propria e ben lontana dal ripetersi. Il disco si apre con Thumb, brano che parte con un riff lento e ipnotico fino all’esplosione dei riff finali di Homme e della voce di Garcia. Neanche il tempo di finire il pezzo che subito parte Green Machine, pezzo simbolo della band e fra i più famosi, di cui esiste anche il bellissimo video che vede suonare la band nel mezzo del deserto californiano. Questa traccia è probabilmente la più orecchiabile del disco, dotata di un riff semplicissimo ma efficace e di un ritornello che si stampa subito in testa. Fra le tracce successive degne di nota soprattutto Molten Universe, pezzo interamente strumentale fra i più acidi e cadenzati del disco. Thong Song gioca benissimo fra parti più lente e momenti più hard rock. Freedom Run con i suoi sette minuti è il pezzo più lungo del disco e personalmente fra le mie preferite: inizio lento sorretto dal basso di Olivieri fino alla parte centrale in cui Homme/Garcia la fanno da padrone. Allen’s Wrench, invece, piccola traccia di poco più di due minuti è il pezzo più veloce e diretto del lotto. Credo sia inutile soffermarsi ulteriormente in una descrizione song by song di questo disco quando personalmente trovo non ci sia una nota sbagliata in Blues for the Red Sun. Il capolavoro (o uno dei due capolavori, vedete voi) della band californiana e uno dei punti massimi raggiunti nello stoner rock in ormai vent’anni dalla sua nascita.

Mirco Aserio

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Tracklist:
1. Thumb
2. Green machine
3. Molten universe
4. 50 Million year trip (downside up)
5. Thong song
6. Apothecaries’ weight
7. Caterpillar march
8. Freedom run
9. 800
10. Writhe
11. Capsized
12. Allen’s Wrench
13. Mondo generator
14. Yeah

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