Recensione: Blutaar

Di Alessandro Cuoghi - 4 Marzo 2010 - 0:00
Blutaar
Band: Varg
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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68

La prima volta che venni a contatto con i Varg fu durante un notturno vagabondaggio online, alla ricerca di nuove realtà musicali. Capitato per puro caso sul loro sito mi imbattei in un curioso video intitolato “Varg – Schlifront: first WALL OF DEATH in History of Viking Metal!”. Chiedendomi come fosse possibile coniugare una pratica estremamente legata alla corrente del Metal moderno a sonorità talmente differenti, cliccai sul tasto “play”.
Quello che mi si parò davanti fu un live show della band, dove un’atmosfera guerresca dal coinvolgente crescendo classico temperava gli animi del pubblico suddiviso su due fronti.
All’esplodere dell’attacco folk gli improvvisati guerrieri si affrontarono così in uno schianto bellico devastante dando vita ad un pogo indiavolato.

Ebbene, i Varg, combo teutonico dal nome semplice (parola che sia in norvegese che in svedese significa “lupo”) ma decisamente calzante, giungono con questo Blutaar al secondo full lenght, che cavalca l’onda del – passatemi il termine – “Folk/Viking/Black/Death” Metal più diretto e mirato all’esibizione live.

Sin da subito è notevole come l’aspetto visivo e commerciale della proposta sia decisamente curato, a partire dalle photo session della band in assetto da guerra e dalla copertina, raffigurante quanto resta di un uomo sottoposto alla barbara pratica de “l’aquila di sangue” (dallo svedese “blutaar”), originale e cruenta tortura ricorrente in alcune saghe epiche del nord Europa, nella quale la vittima veniva squartata di schiena, con conseguente estrazione di costole e polmoni a mo’ di ali.

Insomma, pare che a livello di marketing i presupposti per colpire nel segno, soprattutto tra le fila dei più giovani, ci siano tutti, ma la musica?

Pur seguendo un filone stilistico particolarmente di moda ormai da un paio d’anni, i ragazzi sembrano possedere la materia abbastanza bene da fornire una proposta quasi personale, nonostante gran parte dei riff utilizzati siano quantomeno triti.
Il disco è costruito partendo dalle più disparate influenze: dal Folk guerresco di casa Turisas, al Black Metal più tradizionale, fino a sconfinare, in rari casi, nei freddi territori dei signori incontrastati del Death vichingo, gli Amon Amarth.

Che i quattro tedeschi siano cresciuti a pane e Black Metal risulta chiaro sin dai primi ascolti.
Ogni brano possiede infatti gli standard tipici del nero metallo, sebbene incanalati in una direzione decisamente meno cupa e supportati da una produzione di caratura superiore.
La ricerca dell’orecchiabilità è tangibile e nonostante la band cada spesso nel banale, gli innesti folk supportano a pieno la ruvida voce del singer/axeman Freki e le ritmiche taglienti tessute dal resto della band.

Come da manuale “Blutaar” è introdotto da un’intro epica e maestosa, vero “warm up” per il primo brano: “Viel Feind Viel Ehr”, traducibile dal tedesco con “Più Nemici Più Onore”, tanto per mettere in chiaro l’indirizzo tematico della band. La canzone si presenta sin da subito come uno dei pezzi forti del disco, dall’incipit sapientemente folk e dalle melodie catchy, assicurandosi un posto sicuro nella scaletta live dei Varg. Seguono a ruota altri tripudi di epicità guerresca dai titoli altisonanti, tra cui cito la cavalcante “Invictus” e la cupa “Sieg oder Niedergang” (Vittoria o Decadenza).
Come anticipato, a tratti emergono sonorità riconducibili allo stile degli Amon Amarth: esempio lampante di tale aspetto è la title track, sul cui riff principale ci si aspetterebbe l’inconfondibile ruggito del ciclopico Johan Hegg, peccato però che la canzone procedendo perda un po’ il tiro, non riuscendo completamente nel proprio intento. Il gruppo dimostra di sapersela cavare discretamente anche in brani più lenti e riflessivi come la toccante “Seele” (Anima) o la strumentale Nebelleben, che dal punto di vista compositivo molto deve al defunto Jon Nödtveidt dei Dissection. La canzone ci introduce alla successiva “Zeichen der Zeit” (Segni dei Tempi), pezzo che in definitiva risulta gradevole pur non aggiungendo granchè al disco. I brani finali proseguono più o meno sulle stesse coordinate dei precedenti, manifestando però maggiormente le venature Death della band, soprattutto nella marciante “Alter Feind” (Vecchio Nemico).

Tirando le somme Blutaar risulta un prodotto più diretto verso il giovane pubblico, data l’immagine pittoresca della band, dal war paint decisamente simile a quello dei Turisas e l’immediatezza della proposta. Purtroppo però si nota spesso una discreta mancanza di originalità e freschezza compositiva che va ad inficiare il risultato finale del disco, rendendolo appetibile solo a chi muove i primi passi nel mondo del Viking.
A onor del vero è d’obbligo sottolineare che Blutaar, tra inserti folk ed aperture violente, riesce a scorrere via onesto e che parecchi brani in esso contenuti si prestano egregiamente all’esibizione live. Tuttavia credo che gli stessi Varg trovandosi a dover scegliere tra il nuovo album dei Finntroll ed il proprio disco, sceglierebbero il primo.

Destinato a chi non può fare a meno della propria razione quotidiana di Viking Metal.

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Lineup:


Freki: vocals; guitars
Managarm: bass; backing vocals
Fenrier: drums
Hati: guitars
Skalli: guitars (live)

TRACKLIST:

01. Wolfsmond
02. Viel Feind Viel Ehr
03. Invictus
04. Sieg oder Niedergang
05. Blutaar
06. Seele
07. Nebelleben
08. Zeichen der Zeit
09. Delirium
10. Alter Feind
11. Blutdienst II

 

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