Recensione: Chasing Euphoria

Di Daniele D'Adamo - 31 Marzo 2024 - 18:00
Chasing Euphoria
Band: Lutharo
Etichetta: Atomic Fire Records
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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76

“Chasing Euphoria” è la seconda prova in studio per i Lutharo, la quale arriva giusto tre anni dopo l’esordio con “Hiraeth”.

La caratteristica principale della band canadese è quella di possedere uno stile che abbracci vari generi. Subito vengono in mente heavy, melodic death metal, thrash metal ma poi ci sono altre spruzzate, qua là, di altro, come power e symphonic.

Su questo occorre subito osservare che, malgrado il pot-pourri sopra menzionato funzioni benissimo, alla fine una foggia musicale prevalente ci deve pure essere. E c’è: il melodic death metal. Certo, gli altri non spariscono, dopo questa affermazione, poiché sussistono comunque nel canovaccio stilistico dei Lutharo. Tuttavia, è senza dubbio quello più su menzionato, ciò che è definibile con maggiore precisione e continuità nell’arduo tentativo di individuare come sia arrotolato il loro DNA. Melodic death metal nella versione più fresca e moderna possibile, se si deve puntualizzare.

Argomentazioni a parte sulla tipologia musicale di “Chasing Euphoria”, pare che in Canada le band di alto livello, inserite nella casella dei professionisti, siano particolarmente brave a scovare cantanti donne la cui prestazioni complessive siano perfettamente allineate, se non più, a quelle dei vocalist uomini. Lo insegnano, come è noto, per dirne due, Alissa White-Gluz negli svedesi Arch Enemy, oppure Vicky Psarakis dei prosciolti The Agonist.

Una tendenza, quella delle cantanti donne, che sta piano piano prendendo piede in decine di act sparsi in tutto il Mondo, praticanti tutti i genere e sottogeneri metal, compreso quello estremo. Nel caso del combo dell’Ontario, a reggere le sorti delle linee vocali è Krista Shipperbottom, pure lei dotata di un bagaglio tecnico/artistico di livello internazionale.

Capace di marchiare a fuoco lo stile del gruppo con le sue clean e harsh vocals, si rivela l’elemento chiave di una struttura musicale basata molto sul canto, sulla potenza e varietà del riffing nonché, ultimo ma non ultimo, su onnipresenti e poderose orchestrazioni. Una struttura in grado di emettere una grande quantità di energia sotto forma di onde sonore, obbedienti alla volontà compositiva della formazione nordamericana.

È evidente che Krista, per la sicurezza di sé che lascia trasparire in ogni momento, abbia un approccio totalmente serio e professionale al suo compito. Il che indica che, a monte, spinge un retroterra culturale di notevoli dimensioni e una preparazione di tutto rispetto. La disinvoltura con cui affronta momenti di grande bellicosità, si può dire al calor bianco (‘Reaper’s Call’, ‘Creating a King’), è pari a quella che sussiste quando c’è da mettere sul piatto le clean vocals, come si può facilmente evincere dai numerosi ritornelli che tengono in piedi le varie canzoni.

Canzoni che formano un insieme compatto, coeso, obbediente allo stile multiforme del quartetto di Hamilton ma che riescono comunque a emergere dal mucchio per via di un carattere forte e adulto. Un discorso che, da parte del quartetto stesso, involve un massiccio uso della melodia. Melodia per nulla stucchevole oppure smaccatamente catchy. Semplicemente, armonie che nascono dal cuore dei membri in modo fluido, assolutamente non forzato, figlie di un talento naturale che consente alla band di non forzare il colpo in nessuna occasione. Il che ha come risultato immediato quello di non annoiare perché c’è sempre qualcosa di nuovo, dietro l’angolo e, di conseguenza, di aumentare la longevità dell’opera.

Non manca l’hit del gruppo, individuabile in ‘Born to Ride’. Traccia pulita e lineare, elaborata seguendo la più classica forma-canzone derivante dal rock. Con un refrain che si stampa all’interno della scatola cranica per rimanervi a lungo a mò di tatuaggio. Come più su accennato non bisogna assolutamente dimenticare il lavoro alle chitarre di Victor Bucur, bravissimo a sputare riff rocciosi, a volte aggressivi, ma soprattutto a inanellare una cospicua mole di assoli di grande classe, davvero ben fatti.

“Chasing Euphoria” si chiude con la suite ‘Freedom of the Night’, esempio lampante di cosa siano in grado di creare i Lutharo. Rapidi cambi di tempo sino a sfondare la barriera dei blast-beats, voce pulita che non sbaglia una nota, raddoppi vocali, fini ceselli di chitarra, con un break centrale – segnato dal basso di Chris Pacey – morbido e dolce, ove le avvolgenti note della musica classica si fanno maggiormente sentire, e tanta, tanta melodia guidata dalla voce della Shipperbottom.

Insomma, per via della suo aspetto multiforme, “Chasing Euphoria” può essere esteso oltre i confini del metal estremo, arrivando praticamente ovunque grazie alla sua intrinseca musicalità, che esprime in maniera praticamente quasi perfetta.

Daniele “dani66” D’Adamo

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