Recensione: Chinggis Khaan

Dopo varie peripezie, i folk metallers Suld – dalla Mongolia Interna – hanno pubblicato nel 2024 l’intero “Chingghis Khaan“, il loro terzo album. Originariamente, infatti, l’uscita era prevista nel 2021, ma la ricerca di una produzione qualitativamente migliore ha fatto attendere più del previsto. Il risultato ? Leggete qui la nostra opinione.
Una contestualizzazione
Avevamo già parlato dei Suld nel nostro articolo dedicato al folk metal mongolo, particolarmente dell’album “City Rider” (2017). “The Memory of Nomadism” ( 2017) seguiva essenzialmente la scia stilistica del precedente disco, con un focus sulla natura, inquinamento, urbanizzazione ed altri aspetti ad essi collegati.
Il presente “Chingghis Khaan” si ispira invece alla storia della Mongolia, addentrandosi nelle leggende di Gengis Khan e dei suoi generali. In particolare, si concentra sulle storie eroiche celate dietro a tali figure iconiche, offrendo una meditazione sulla loro volontà indomabile, sulla loro visione e saggezza.
La recensione di “Chingghis Khaan”
Composto di 9 tracce di pressoché medio-breve durata per un totale di poco più di 30 minuti, “Chingghis Khaan” condensa gli intenti in un’opera stilisticamente vicina ad un appeal radiofonico di stampo americano, aumentando altresì l’aspetto granitico eppure grezzo nelle cavalcate heavy/thrash. Gli strumenti musicali tradizionali, morin khuur in primis, sono indispensabili nell’identità della band e nel dinamismo virtuoso delle tracce, forse ancora più superiore rispetto alle precedenti uscite. C’è un cuore ruvido ma allo stesso tempo sognante e colto.
Soprattutto, la novità di questo disco è rappresentata dalle grintose linee vocali rap (vicini ai Rage against The Machine) presenti in alcune tracce, accanto al loro caratteristico, spirituale e combattivo throath singing.
Tra i vari pezzi emergono certamente “Subedei”, “Proverbs” e “Yelv Chucai”, diverse tra loro per l’approccio.
“Subedei” è probabilmente il brano migliore del disco, un concentrato vulcanico e selvaggio, perfettamente equilibrato tra comparto acustico ed elettrico. Il rap aumenta il carattere senza compromessi, tra moderno ed antico.
D’altro canto “Proverbs” colpisce con il suo essere decisamente più cadenzata, quasi post metal e stoner a volte, in aura misteriosa con alcuni punti di nobile luce. Un plauso, in particolare, ai virtuosismi del morin khuur, davvero indomabili e ricercati nello spirito.
“Yelv Chucai” incanta per essere sostanzialmente un connubio tra semi-ballad e crescendo, dal piglio radiofonico americano e tinte blues, senza dimenticare il cuore mongolo. In tal senso, esso si manifesta nello spirito solare che la pervade, incorniciato da un cantato poetico e quasi zen. Da segnalare assolutamente il basso, che irrobustisce il pezzo e, contemporaneamente, ne espande il carattere malinconico.
Il resto dell’opera verte essenzialmente su tracce di buona qualità (specie la scintillante “Kublai”) mentre l’allegra “Praise for Mukhal” seppur carina risulta piuttosto lineare e meno incisiva.
Conclusione
Con “Chingghis Khaan”, i Suld propongono essenzialmente un album molto buono e l’attesa ha certamente giovato alla produzione, davvero ottima. Le tracce risultano definite al punto giusto tra compattezza pulsante ed animo grezzo. Gli inserti rap, come detto, sono stati una grande sorpresa e, forse, potevano essere esplorati un po’di più. Vediamo cosa riserveranno in futuro i Nostri. Un album che conferma i Suld parte della vivace scena folk metal mongolo. Da ascoltare per gli amanti del folk metal.
Elisa “SoulMysteries” Tonini