Recensione: Clifton Hill

Di Fabio Vellata - 25 Ottobre 2008 - 0:00
Clifton Hill
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Genere:
Anno: 2008
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77

Il 2008 verrà ricordato probabilmente a lungo per quella che è da considerarsi, con certezza, come una rinascita definitiva e clamorosa dei caratteri tipici dell’hard rock e del suo “cugino” più melodico, l’AOR.
La lista dei nomi gloriosi tornati alla ribalta ed assurti agli onori della cronaca è davvero lunga e sensazionale, incredibile sino a pochi anni fa, tempi in cui suoni di siffatta discendenza parevano caduti definitivamente nel più triste e grigio anonimato, soverchiati da tendenze lontane anni luce da quanto costruito con pazienza ed ardore in quell’indimenticabile periodo a cavallo tra gli immancabili eighties e primi nineties.

Quasi certamente l’oro purissimo di tali epoche immortali non si replicherà mai più con la medesima forza e vitalità, rimanendo, come è giusto che sia, ancorato ad una radice storica da molti rimembrata con affetto e devozione.
È tuttavia significativo notare come, sempre più spesso, molti degli eroi attivi in quegli antichi eoni, abbiano deciso di riannodare le proprie fila artistiche con il passato, riallacciandosi improvvisamente a tracce date ormai per smarrite in un afflato all’apparenza nostalgico, capace però, di mediare un’essenza “primitiva” con elementi moderni, quasi a voler testimoniare che gli anni passano, la musica, come tutte le cose, cambia, ma non necessariamente i due versanti – quello “evoluto” e quello “arcaico” – sono antitetici ed inconciliabili.
E soprattutto che, suonare ottantiani nel nuovo millennio, non significa essere, per forza, anacronistici o fuori dal tempo.

Una premessa lunga e doverosa, necessaria però al fine di introdurre un album, il nuovo “Clifton Hill” degli Honeymoon Suite, che è figlio diretto ed esempio pratico delle considerazioni esposte poc’anzi.
Abbandonate le manie moderniste delle ultime uscite, la “maison” canadese attiva, tra alti e bassi, da un considerevole numero di primavere (1982 la data di fondazione proprio in quel di Clifton Hill, quartiere turistico della città di Niagara Falls), piazza sul mercato quello che a tutti gli effetti può essere descritto come un ottimo disco di hard rock “modernamente anni ottanta”.

La forza e la bontà della proposta sta tutta in questo paradosso sulla carta improbabile ma, all’atto pratico, per nulla peregrino o malriuscito. Una commistione di suoni dalla provenienza lontana, filtrati però da un istinto moderno ed attuale, aiutati da una produzione all’altezza ed amalgamati in modo da soddisfare sia i nostalgici, sia i nuovi adepti alla causa.
Una ricetta davvero non agevole ma possibile, che convince e si fa forza su di una serie di brani composti con sapienza e cognizione, destinati a crescere di ascolto in ascolto e dalla sorprendente scorrevolezza.
Ce n’è per tutti i gusti. La partenza delle fiammeggianti e cromate “She Ain’t Alright” e “Tired O Waitin’ On You” risucchia e scaraventa indietro nel tempo, mentre l’incedere blueseggiante e venato di country della conclusiva “Separate Lives”, ci ricorda quali siano le vere origini d’ogni cosa. In mezzo, ballate eleganti e zuccherose (“Ordinary”, “Restless” e la bostoniana ”Why Should I?”), assalti funkeggianti (“Riffola”), sprazzi di classico melodic rock d’antan (“The House” e “Down 2 Bizness”), sgommate rock n’roll (“That’s All U Got”) e situazioni puramente “nuove” e contemporanee da far invidia al Winger solista (“Sunday Morning”).
Il tutto, sempre racchiuso in una veste che nulla ha che vedere con un’attitudine vetusta o conservatrice, ben rappresentata dai ruvidi suoni di chitarra, dalla peculiarità di alcuni ritornelli e da un modern-style che aleggia senza sosta un po’ ovunque. Produce, oltretutto, una vecchia conoscenza, Tom Treumuth, già responsabile del mixer nella prima creatura della band, l’omonimo ”Honeymoon Suite” datato 1984.

Johnnie Dee ed i suoi compari hanno centrato il colpo dunque. I grandi “The Big Prize” e “Racing After Midnight” sono probabilmente apici destinati a non ripetersi, ma con “Clifton Hill”, i giochi vengono rimessi del tutto in discussione, emarginando quello che, a giudizio del sottoscritto è stato un bel passo falso (il precedente “Lemon Tongue / Dreamland”) e riproponendo il gruppo canadese come una fulgida realtà del panorama rock melodico internazionale.

Un ascolto è doveroso, suggerito ed alquanto consigliato. Un piccolo frammento del nuovo corso legato al nostro caro hard rock potrebbe passare anche da qui…

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Tracklist:

01. She Ain’t Alright
02. Tired O’ Waitin On You
03. Riffola
04. Ordinary
05. The House
06. Why Should I?
07. Down 2 Bizness
08. Sunday Morning
09. That’s All U Got
10. Restless
11. Separate Lives

Line Up:

Johnnie Dee – Voce
Derry Grehan – Chitarre / Back. Voc.
Ray Cockburn – Tastiere
Gary Lalonde – Basso
Dave Betts – Batteria

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