Recensione: Cosmic Gateway To Infinity

Di Vittorio Cafiero - 24 Gennaio 2015 - 0:03
Cosmic Gateway To Infinity
Band: Ancient Dome
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Tornano in pista i saronnesi Ancient Dome, che con i precedenti Human Key e Perception Of This World, avevano ben impressionato, soprattutto dando prova di una discreta progressione in termini compositivi e di maturità tra il primo e il secondo album. Cosmic Gateway To Infinity, questo il titolo del terzo lavoro in uscita nuovamente su Punishment 18 Records, non fa che confermare questo percorso evolutivo, sotto molteplici punti di vista. Andiamo con ordine: rispetto all’artwork del lavoro precedente – interessante nel concetto, ma troppo naïf nella realizzazione – questa volta è stato assoldato Mario Lopez Morales (già al lavoro con Endovein, Game Over e Mindwars, tra gli altri), giovane disegnatore guatemalteco, che ha dato alla luce una delle sue copertine migliori, tutta da ammirare. Non che l’artwork sia l’elemento principe di un cd, ma anche l’occhio vuole la sua parte e un lavoro ben fatto non può che ben predisporre. In seconda battuta, si nota come la line-up veda due importanti cambiamenti: nuovo bassista (Davide Bianchi, purtroppo defezionario dopo la pubblicazione del cd), ma, soprattutto, la scelta di Paolo Porro di non farsi più carico del cantato oltre della chitarra: la band ha pensato (bene) di assegnare le vocals ad un cantante di ruolo, Jerry De Feo, maggiormente a suo agio sulle tonalità più alte e pulite. Che incrementare il bagaglio tecnico del gruppo abbia permesso agli Ancient Dome di ampliare il proprio raggio d’azione? Si direbbe di sì, anche se l’ambito è sempre quello del thrash metal. 
Se il debut album era un esordio vigoroso, ma tutto sommato abbastanza canonico, già il suo successore aveva mostrato evidenti segni di cambiamento con marcate sfaccettature più tecniche. Cosmic Gateway To Infinity, dal canto suo, subito colpisce per evidenti miglioramenti nella produzione, per il notevole sforzo negli arrangiamenti e a livello di composizione. Ascoltando a ripetizione la tracklist, è possibile apprezzare come la band, oltre alla costruzione della classica struttura-canzone (strofa-bridge-ritornello), abbia investito tempo e sudore nel perfezionare i dettagli: le armonizzazioni sono diventate più personali, il riffing è più ricercato, più eclettico rispetto al passato; chi scrive è convinto che questa trasformazione sia stata ricercata anche in un’ottica live: l’aggiunta di un vocalist permetterà alla band di avere due asce dedicate esclusivamente alla tessitura di trame più intricate. 
Il concept fantascientifico si apre con N.I.F. (New Interstellar Force), che, come ogni opener degna di questo nome, rappresenta molto bene l’intero lavoro: all’energia oramai tradizionale del “nuovo” thrash italiano (in stile Hyades, in un certo senso) viene affiancata una buona linea melodica nel chorus e una più che discreta fase solistica. Ma, in effetti, è tutta la prima metà dell’album ad impressionare; con …Hyperspace la band cala subito la carta vincente con l’ospitata d’eccezione: è niente meno che David White degli Heathen ad occuparsi delle guest vocals in un ritornello davvero accattivante e mai stucchevole. In A Sea Of Stars vengono fuori prepotentemente le influenze più classiche della band, per un pezzo solo lievemente più lineare e pacato: significativi in questo senso i tre assoli di chitarra, in particolar modo il primo, acustico e orientaleggiante nella classica tradizione Artillery. Dopo una titletrack più in-your-face nella struttura strofa-refrain e più complessa nel riffing, è il momento di Colonizing Asteroids, forse il pezzo più particolare dell’intero lavoro: da subito si capisce come in questo caso gli Ancient Dome abbiano posizionato più in alto l’asticella, attraverso frequentissimi cambi di tempo e d’umore, break e ripartenze tipicamente techno-thrash, obbligando l’ascoltatore ad uno sforzo sicuramente maggiore. Scelte simili, come approccio, a quelle che a suo tempo facevano i leggendari Deathrow; il pezzo, per la verità, non appare sempre completamente a fuoco, soprattutto per le liriche che sembrano dover rincorrere e assencondare in modo un po’ forzato il susseguirsi dei riff. Con Nebuloid è tempo di pausa strumentale e la band lombarda offre un piccolo tributo ai padri putativi del thrash, Megadeth e Metallica, ovviamente immaginati nel loro periodo migliore. Ci si avvicina alla fine; Dead Zone è un bel pezzo heavy-thrash che, ancora una volta, ben rappresenta gli Ancient Dome allo stato attuale: soluzioni meno immediate in fase strumentale che si alternano a momenti di tregua ottenuti da linee melodiche di più ampio respiro. Discorso simile per la conclusiva Empire Of Lies, che vede il cameo di lusso di Thaen Rasmussen (Anvil Chorus, Heathen, Vicious Rumors) e che ricorda alla lontana altri eroi del metallo pensante italiano, i sempre troppo poco lodati Eldritch.  
Tante influenze, molto ben assimilate e mai riproposte copiando pedissequamente l’altrui operato: con Cosmic Gateway To Infinity gli Ancient Dome continuano a proseguire nella loro crescita, una costante evoluzione costruita lentamente, mattone dopo mattone, proprio per questo dalle basi ancora più solide. Ciò che lascia ben sperare, sono i margini di miglioramento ancora larghi, a parere di chi scrive. Sarebbe un errore fermarsi a questo punto e accontentarsi, perché i requisiti per tirare fuori dal cilindro il lavoro eccellente ci sono tutti e vanno sfruttati. Avanti così.    
 
Vittorio “Vittorio” Cafiero

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