Recensione: Dab City

Di Matteo Pedretti - 19 Giugno 2023 - 8:00
Dab City
Band: Bongzilla
Etichetta: Heavy Psych Sounds
Genere: Doom  Sludge  Stoner 
Anno: 2023
Nazione:
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78

Avendo iniziato il loro percorso solo poco più tardi rispetto ai più importanti antesignani dello Sludge/Stoner/Doom degli anni Novanta come Eyehategod, Sleep ed Electric Wizard, i Bongzilla possono essere annoverati tra i pionieri del genere. Poiché tutt’ora assai meno conosciuti dei ben più illustri colleghi sopra citati, è necessaria una loro breve presentazione. Il gruppo si forma nel 1995 a Madison, nel Wisconsin con una proposta definita dai suoi stessi componenti Stoned Sludge/Heavy Doom, con liriche che sono veri e propri inni alla cannabis e celebrazioni della stona derivante dal suo consumo.

Dei primi anni della storia dei Bongzilla non si sa molto, se non che è un periodo costellato di uscite minori come EP e split. Poi arriva la firma con Relapse Records: l’etichetta della Pennysilvania realizza la tripletta dei full-lenght storici dei Nostri: il debutto sul pieno minutaggio “Stash” del 1999, “Gateway” del 2002, probabilmente il loro lavoro di maggior rilievo, e “Amerijuanican” del 2005, in cui le parti di basso sono opera di Dixie Dave Collins dei Weedeaters (su cui l’influenza dei Bongzilla a livello sia stilistico che tematico è del tutto evidente).

Nel 2009 la band entra in uno stato di hiatus che si protrae fino al 2015, anno in cui si riforma con la line-up di “Gateway” e ricomincia a calcare i palchi statunitensi ed europei, tra cui quelli dei prestigiosi Maryland Deathfest, Roadburn Festival e Desertfest. Inoltre, l’allora quartetto (che nel 2020 vedrà la fuoriuscita del bassista Coorter Brown) si rimette a comporre nuova musica e si accasa con la label italiana Heavy Psych Sounds che nel 2021 dà alle stampe l’album di ritorno “Weedsconsis” e lo split con i Tons “Doom Session Vol.4” e a inizio giugno 2023 il nuovissimo “Dab City”.

Registrato su nastro analogico da 2 pollici nel corso di due sessioni (la prima di fine 2022 e la seconda del febbraio 2023) presso gli Apple Tree Studio di Rock Island, Illinois e con una produzione (giustamente) ridotta all’osso, “Dab City” suona deliziosamente marcio e stonato e, con la una durata di circa 1 ora, risulta più completo del suo pur valido predecessore “Weedsconsis”.

Nella opener, nonché title-track, un giro di basso distorto e feedback di chitarra anticipano l’ingresso della band al completo: i riff sporchi e grassi e la voce rauca “al wiskey” di Muleboy non lasciano dubbi circa il fatto che i Bongzilla siano in grande spolvero. Le rare accelerazioni hanno un certo flavour sabbathiano, mentre la lunga seconda parte del brano procede all’insegna dell’heavy and slow, in un delirio lisergico di riff ultra-saturi e piatti frastornanti.

Per rimanere in tema di alterazione, si prosegue con “King of Weed”, uno Stoner/Doom che, con linee vocali abrasive, riff ossessivamente ripetitivi e divagazioni chitarristiche di stampo psichedelico, ha un mood decisamente Nineties ed infonde un pizzico di nostalgia per quel periodo in cui il genere era ai suoi arbori e i suoi adepti (sia interpreti che fan) erano una cerchia ristretta di strani personaggi stralunati rilegati a una realtà rigorosamente underground (The Chosen Few, per dirla con le parole degli Electric Wizard). Sulle medesime coordinate stilistiche procedono “C.A.R.T.S”., “Hippie Stick” e “Diamonds and Flowers”.

“Cannonbongs (The Ballad of Burnt Reynolds as Lamented by Gentleman Dixie Dave Collins)” non solo ha un titolo molto lungo (che peraltro chiama in causa il già menzionato frontman dei Weedeaters), ma anche una durata notevole. Nei suoi quasi 14 minuti i ritmi sono decisamente rallentati e le atmosfere si fanno rarefatte e fumose. A circa metà del pezzo la batteria inizia a battere un tempo più veloce – con alcuni passaggi dal sapore tribale – che crea un efficace contrasto con l’esasperante lentezza del riffing.  Anche nella closer “American Pot” si ritrova una buona dose di dilatazioni acide, ma a queste si alternano sezioni più veloci e incalzanti a cui è evidentemente affidato il compito di riportare gradualmente l’ascoltatore alla realtà.

Senza allontanarsi di una virgola da quello che fanno da ormai quasi trent’anni, i Bongzilla si riconfermano la soluzione ideale per quei momenti in cui si ha bisogno di estraniarsi dalla realtà quotidiana e di concedersi un sano trip sonoro. Dunque, buon viaggio con “Dab City”

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