Recensione: Death Machine

Di Onirica - 3 Dicembre 2003 - 0:00
Death Machine
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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70

Le apparenze spesso ingannano. Sbuccio questa release a partire da pseudonimi ridicoli e presenza scenica demenziale, tuttavia non posso che restare estasiato nel costatare capacità tecnica e impatto sonoro di un gruppo californiano nato in casa Zero Hour con la collaborazione del giovane produttore Dino Alden. La Lucretia Records mette in vetrina una dozzina di brani concepiti magistralmente e nella convinzione della propria autoefficacia, pagine estreme scritte in una lingua aggressiva che raramente sacrifica la buona violenza per la pura ricerca melodica. Caratteristica pregiata quella che accosta le influenze del metal di nuova generazione alla passata tradizione thrash/death, con un pizzico di complessità ritmica aggiunta ed una voce devastante più degli strumenti. Nonostante tutto (forse proprio per le diverse fonti da cui trae ispirazione) il disco ha un sapore conosciuto, per farvi un’idea basterà pensare al primo periodo discografico di Fear Factory ed Arch Enemy. Una spruzzatina di personalità non guasterebbe ma forse è chiedere troppo, mi rendo conto che concepire un lavoro di questa portata non è semplice anche se soffre di una leggera forma patologica tendente alla ripetizione angosciante del riff principale.

Throath – Vocals
Thrak – Guitars
Devin – Bass
Mike – Drums
Elias – Keyboards

La breve traccia strumentale in sesta posizione spezza il proseguire dell’album, senza comunque dissuadere l’intenzionale continuità compositiva proposta dal gruppo. La durata media dei brani si aggira intorno ai tre minuti abbondanti, intervallo all’interno del quale questi cinque scompongono e ricompongono in maniera eccellente la scarsa quantità di materiale preparato per l’occasione. Come già accennato la voce del cantante si rivela ottimo perno regolatore dell’efficacia sonora, chitarra e batteria sono senza dubbio gli strumenti principali ma in certi momenti le corde vocali sono uniche protagoniste della scena. Fuori dal quadro prettamente violento si aggira un bassista distortissimo ma impeccabile nelle scelte stilistiche nonchè autore di un’esecuzione difficilmente imitabile. Manca la novità, solo questo.

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

01. Loss For Words
02. Separate
03. Tangled Root
04. Last Breath
05. Mere Reflection
06. Schmeg
07. Inflicting
08. Believing
09. Genocide
10. Cycle Of Conscience
11. Dead
12. Not To Be

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