Recensione: Drapsdalen

Di Manuele Marconi - 16 Marzo 2021 - 14:19
Drapsdalen
Band: Valdaudr
Etichetta: Soulseller Records
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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80

Nel 2000 nascono in Norvegia i Cobolt 60, duo dedito ad un black metal con venature thrash. Con i due lavori concepiti (a distanza di 10 anni uno dall’altro, 2002 e 2012) scaldano i motori per evolversi in qualcosa di più raffinato, qualcosa che dia quella spinta in più. Così nel 2019 il duo composto da Død (chitarra e basso) e Vald (voce) diventa “Valdaudr”, e nel 2021 dà vita alla sua prima opera ufficiale: “Drapsdalen”. L’album si apre senza fronzoli con “Liket skulle vaert brent”, espressione di black metal allo stato puro, con evidentissime influenze dai Darkthrone, un paragone che spesso affiorerà nell’ascolto del lavoro in esame. “Evig langt inn i tiden” è invece un pezzo più ragionato, per lo meno in apertura: il breve break iniziale distoglie l’ascoltatore da un assalto sonoro che forse sarebbe risultato eccessivo, e contemporaneamente fa da introduzione al brano vero e proprio, che rimane arrembante ma con momenti di pausa ben scanditi dal riff iniziale, che ritorna periodicamente come fosse un ritornello. In questa sede si sentono anche echi di Bathory. Brano vincente e raffinato in ogni strumento, in particolare da sottolineare la prova al basso. Successivamente ci si muove in un ambiente molto “Darkthroniano”, con brani non eccessivamente complessi e molto gradevoli, con ottimo tiro e complessivamente ispirati. Questo fino al giungere del brano conclusivo, “Kom, bestig vaare fjell”, senza dubbio la punta di diamante del disco. Un arpeggio introduce un ingresso possente delle chitarre, un muro sonoro che travolge l’ascoltatore e lo fa navigare nella tempesta di un pezzo assolutamente di mestiere. Si vede che la gavetta è stata fatta. Ottimo il canto in pulito ed i passaggi fluidi da tempi rapidi a lenti, con nessuno stacco eccessivo. Fantastica la sezione centrale cantata in pulito, attorniata da un mantello sonoro che sembra uscito dall’oltretomba. Su un gelido arpeggio sembra spegnersi il brano, per poi però riprendere subito, un po’ sullo stile degli Immortal di “Sons Of Northern Darkness”. La prova d’ascolto risulta nella sua totalità pienamente soddisfacente: i brani si susseguono senza intoppi e l’ascoltatore è invogliato ad ascoltare; la durata di 38 minuti invita al riascolto senza remore. La produzione è perfetta, sporca il giusto per il tipo di proposta che il gruppo intende esprimere. L’unico neo della release potrebbe essere trovato da chi fosse infastidito dalle influenze che spesso affiorano: sia chiaro, non si cade nel plagio, ma l’ispirazione verso la creatura di Fenriz e Nocturno Culto fa fatica ad eclissarsi. Chi invece non fosse spaventato o infastidito da questo carattere del disco, non potrà che rimanere piacevolmente sorpreso dalla crescita di un gruppo che fa vedere a tutti gli effetti il percorso tracciato 21 anni fa.

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