Recensione: Ecnephias

Di Alessandro Calvi - 23 Febbraio 2015 - 9:30
Ecnephias
Band: Ecnephias
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2015
Nazione:
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80

I lettori di TrueMetal dovrebbero conoscere bene gli Ecnephias, fin da quel “Dominium Noctis” che aveva sancito il loro esordio discografico nel 1995 e che avevamo così ben recensito ai tempi. Già allora si capiva che questi ragazzi avevano potenzialità e qualità da vendere e in questi 10 anni non sono certo rimasti con le mani in mano. Ogni loro nuova uscita, infatti, ha segnato un’evoluzione, un cambiamento sonoro e stilistico, spesso molto marcato, tanto da scontentare quasi tanti fan quanti ne soddisfava. Eppure era quasi palpabile l’urgenza, la vera e propria necessità, di questi musicisti di cercare nuove strade con cui esprimersi e che andassero fuori dai paletti stabiliti dalle etichette e dai generi. Così se gli inizi potevano ricordare un gothic con elementi sinfonici alla Cradle of Filth, nel prosieguo si è passati a un black quadrato e granitico, al death, a un inserimento sempre maggiore di elementi melodici e “classici”, fino allo scorso “Necrogod” del 2013, che sfidava ogni catalogazione.

Oggi gli Ecnephias tornano a farsi sentire con un album che porta il loro stesso nome: una scelta spesso fatta da quei gruppi che volevano sancire una sorta di rinascita o di nuovo inizio. A nostro avviso, invece, nel caso di Mancan e soci si tratta più probabilmente di una decisione simbolica a voler rappresentare come, finalmente, dopo tanto cercare, gli Ecnephias abbiano trovato la loro vera dimensione espressiva (non che questo significhi che da ora in avanti rimarranno fermi, non ci crederemmo neanche se ce lo dicesse Mancan in persona!).

Dopo una breve intro, inizia “The Firewalker”, uno dei brani forse più rappresentativi di questo nuovo corso degli Ecnephias. Si sente subito che quanto fatto fin ora non è stato accantonato, ma ha semplicemente trovato nuove forme espressive; il passato fa parte del bagaglio culturale e musicale usato per dare forma a un nuovo sound. Si dice che il tempo sia ciclico, che, prima o poi, si ritorna sui propri passi verso scelte o errori già compiuti. In un certo senso sembra vero anche per gli Ecnephias che con “Ecnephias” tornano là dove avevano iniziato: al gothic. Ma non si tratta del gothic sinfonico in odore di Cradle of Filth degli esordi, bensì di un gothic che affonda profondamente le sue radici nella terra d’origine di Mancan e soci, che profuma di mediterraneo come pochi, tra cui i Moonspell, sono stati capaci di fare.
Si tratta, quindi, di un gothic oscuro, dalle tinte doom, ma anche venato di quelle melodie, di quei riff da heavy classico, che già avevamo potuto apprezzare in “Necrogod”. E al contempo, anche se tanti elementi suonano già sentiti nella discografia della band, è come se fosse tutto nuovo, tutto diverso, quasi che stessimo ascoltando un altro gruppo.
Sotto il profilo vocale la voce è principalmente campo d’appartenenza di Mancan che, oltre al classico scream/growl, lascia ampi spazi alla voce pulita, bassa e profonda, che sempre più ricorda il Pete Steele dei Type O Negative. Anche l’uso di questi registri differenti contribuisce a creare un amalgama perfetto che risulta orecchiabile e di immediata assimilazione, come forse mai prima, ma anche mai banale o commerciale.
Tanto si è parlato del passato degli Ecnephias, di come siano stati ripresi e riletti molti elementi dei CD della loro discografia per trovarvi posto nel sound attuale, che potrebbe sembrare che la band si sia limitata a questo. Nulla di più sbagliato, visto che “Ecnephias” è, come sempre, un nuovo passo in avanti, un mezzo per provare, sperimentare e inglobare nuove influenze, nuove sonorità, nuove idee. Ci pensano un pugno di canzoni a dimostrarcelo oltre ogni ragionevole dubbio.
“A Field of Flowers” è emblematica della capacità del gruppo di fondere gli elementi più pesanti del proprio sound con le tastiere, mentre la voce di Mancan diviene quasi ipnotica e, a tratti, non si direbbe neanche di stare ascoltando un brano metal, in un continuo alternarsi di atmosfere e sensazioni. Una sorta di ballad melodica, ma del tutto sui generis.
“Chimera” porta a un nuovo livello l’uso delle chitarre e dei riff dal sapere heavy classico nel songwriting degli Ecnephias.
Assolutamente maestosa “Nychtophilia”, non tanto (o non solo) perché è la canzone più lunga di tutta la tracklist, ma perché merita un posto di rilievo assoluto nella discografia della band come uno dei brani più belli e importanti che abbiano sfornato. In questo caso, poi, sembra riassumere perfettamente tutto l’album, come a volerne contenere tutti gli elementi al loro meglio, una sorta di bigino per far capire all’ascoltatore occasionale di cosa siano capaci di fare Mancan e soci (compreso l’uso dell’italiano che, fino a questo punto della scaletta avevamo sentito usare poco rispetto a quanto eravamo abituati dal gruppo).
Eppure non è la sola traccia a meritarsi un posto sul podio delle più belle canzoni mai composte dagli Ecnephias, perché subito dopo troviamo “Nia, Nia, Nia”, che è una serissima rivale per il gradino più alto. L’undicesimo brano, infatti, con il suo uso del dialetto e le sue ritmiche folkloristiche, non solo aggiunge una dimensione del tutto nuova alla musica della band, ma trasmette emozioni uniche, capaci di trasportare l’ascoltatore davvero nella terra d’origine del gruppo.
Fin dalle prime note si capisce come mai la scelta di realizzare un video sia caduta proprio su “Vipra Negra”. Si tratta, infatti, di una delle canzoni più immediate e “metal” dell’album, pur senza perdere quegli elementi di unicità che la rendono immediatamente riconoscibile come un pezzo degli Ecnephias.
Infine un’ultima menzione per l’outro “Satiriasi” che, in questo caso, non è solo un breve brano che serve a chiudere la scaletta e a congedarsi dagli ascoltatori, ma sembra piuttosto essere una preview di quanto ci aspetta in futuro. Quasi che Mancan e soci, piazzando proprio in chiusura una traccia che stravolge ulteriormente le certezze che ci eravamo fatti sul loro sound, con l’uso massiccio dell’elettronica accostata a un classicissimo pianoforte, vogliano dirci: “c’è ancora molto da sperimentare e noi non abbiamo ancora finito!”.

Per concludere: “Ecnephias” festeggia nel migliore dei modi i dieci anni dall’esordio discografico del gruppo di Mancan e soci con quello che è, senza timore di smentita, il loro disco più bello. Gli Ecnephias sembrano aver scoperto una nuova dimensione, un nuovo equilibrio tra passato e presente, tra le varie anime, le necessità espressive e la spinta a continuare a evolvere la propria musica. Il risultato è un album completo, perfettamente bilanciato, profondamente Ecnephias, eppure capace di aggiungere qualcosa di nuovo a quanto ci hanno fatto sentire fin ora. Il vero rischio, in realtà, per la band arriva adesso, perché con un disco simile sarà difficile riuscire a ripetersi o a superarsi, ma è esattamente quanto si aspettano tutti i fan.

Alex “Engash-Krul” Calvi

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