Recensione: Emerald Forest And The Blackbird

Di Vittorio Cafiero - 17 Febbraio 2012 - 0:00
Emerald Forest And The Blackbird
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Anno: 2012
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80

Contraddistinto da una copertina bianca in netto contrasto con i decadenti contenuti, Emerald Forest And The Blackbird è il quinto lavoro dei finlandesi Swallow The Sun, gruppo tutto sommato ancora giovane ma con una solida base di fan (specialmente nel paese di origine) e con una reputazione più che buona nel panorama del doom metal internazionale. Forte del sostegno della sempre più lanciata Spinefarm Records (Nightwish, Sonata Artica, Moonsorrow e numerosi altri act della Terra Dei Mille Laghi nel roster), la band di Mikko Kotamaki & Co. torna con un lavoro sicuramente ambizioso e dalla classe cristallina, caratterizzato da un alto minutaggio che permette ricchezza di contenuti e varietà di soluzioni.
Dopo il melodico New Moon del 2009, molti aspettavano al varco il combo finlandese: la strada melodica e accessibile intrapresa sarebbe stata orgogliosamente confermata, oppure ci sarebbe stato un netto ritorno alle sonorità del passato, pesanti ed in linea con i canoni più oscuri del genere? Per chi scrive la risposta sta nel mezzo: se, da una parte, le soluzioni di più facile approccio non mancano di certo, è innegabile la volontà della band di non distaccarsi troppo dagli stilemi della musica “estrema” con passaggi pesanti e cantato  alternato in scream e growl. Da capire, quindi, se i due orientamenti convivono armoniosamente oppure se si tratti di un bieco tentativo di mantenere i piedi in due scarpe.
L’apertura affidata alla title-track è appassionante e immediatamente conduce in quello che è il mood tipico degli Swallow The Sun. Partiture lente, ma raffinate, che cullano l’ascoltatore in un pessimismo cosmico neppure troppo sgradito, innesti di vocalizzi femminili niente affatto banali, stacchi più violenti dove il cantato passa con estrema disinvoltura da growl a scream. Il tutto, caratterizzato da un impianto lirico a dir poco commovente, dove l’estremo distacco (“you will be taken, I was meant to stay…”) viene meravigliosamente inserito in un contesto silvestre. Struggente. Dopo una partenza così ‘opprimente’ (nel senso buono del terminte, sia chiaro), a dimostrazione di quanto sopra, con This Cut Is The Deepest subito si viene a contatto con l’aspetto più melodico del gruppo, con una traccia di immediata presa, ma non per questo stucchevole. L’evidente sofferenza, già espressa nel titolo della canzone, viene ottimamente concretizzata con passaggi dolci e rassegnati: una sorta di esistenzialismo fatto musica, dove voce e chitarra si muovono insieme, senza eccessi, con palese modestia, con un approccio che ricorda da lontano quello dei connazionali Katatonia.
Ma non basta. Arriviamo solo al terzo pezzo e, ancora, un’altra brusca sterzata: con Hate, Lead The Way i Nostri si lanciano in un mid-tempo dalle tinte symphonic-black e lo fanno anche con una certa maestria: lo scream di Kotamaki é sicuro e arcigno, ben decifrabile in un pezzo che, fin dal titolo, fa della cattiveria ragionata il suo fil-rouge. Particolarmente interessante, infine, lo stacco di opethiana memoria verso i 3/4 del brano. Tre pezzi, tre stili diversi. Niente male davvero, specialmente se in tutte e tre le prove gli Swallow The Sun si sono mossi con evidente capacità. Cathedral Walls, primo singolo del cd da cui è stato estratto un video dal carattere decisamente espressionista, come è lecito aspettarsi mostra la facciata più easy-listening della band (perdonatemi l’inglesismo, ma provo un odio viscerale per la parola “commerciale”). Il risultato lascia tutto sommato interdetti: da una parte, è apprezzabile l’incedere lento ed inesorabile del pezzo, con l’ammaliante linea melodica fornita dalla chitarra pulita; al contrario, la presenza di Annette Olzon (Nightwish, per i meno informati) in veste di ospite speciale non convince appieno: la voce è fin troppo dolce e laccata per un brano dalle tinte così drammatiche. E’ probabile che in questo caso abbia prevalso l’orientamento verso l’ospitata di richiamo a scapito della resa finale. Giudizio sospeso, in questo caso. Dopo una più che discreta Hearts Wide Shut, tutto sommato standard in quanto a stile (tenuto conto dei pezzi precedenti), con Silent Towers si realizza per una volta quello che si temeva all’inizio, ossia la convivenza forzata tra l’anima melodica e quella più pesante della band: in un pezzo tutto sommato breve e dai connotati decisamente trasognati, gli inserti più estremi dalla voce in growl risultano fuori posto. Fortunatamente il momento di impasse dura ben poco, in quanto la successiva Labyrinth of London (Horror Pt. IV) ci ripropone la band finlandese nella tipica situazione ad essa più congeniale: un pezzo lungo, strutturato, dove violenza e dolcezza convivono splendidamente, dove gli arrangiamenti sono curatissimi e il talento evidente. Momenti tirati, break melodici, una persistente epicità, parti recitate, un meraviglioso assolo che non avrebbe stonato su Icon dei Paradise Lost. Semplicemente, un pezzo da ascoltare e apprezzare in tutta la sua lunghezza, perché “totale” ed intrinsecamente bello. Con la più breve, ma comunque affascinate Of Death And Corruption (caratterizzata da una chiusura davvero pesante, specialmente nel parossistico growling), ci si avvicina alla fine dell’album. April 14th (data del decesso di Peter Steele dei Type O’ Negative a cui il pezzo è dedicato) in alcuni momenti davvero non può non far pensare con amarezza e nostalgia al “green man” di Brooklyn, in altri ricorda i pachidermici passaggi tante volte proposti dai My Dying Bride. Da entrambe le prospettive, comunque, un altro centro. Un dolce arpeggio di chitarra introduce la conclusiva Night Will Forgive Us, fatta di parti riflessive lente e quasi rarefatte, alternate a momenti più movimentati, con un positivo scambio tra voce sporca (sia growl che scream, ancora una volta) e pulita. Ci si abbandona alla notte, ma con la convizione di entrare in un mondo mai ostile, e la linea portante di chitarra così serena ne è la dimostrazione.

Un doveroso track by track per un lavoro certamente completo, pensato (ma non calcolato, sia ben chiaro) e ottimamente arrangiato. Con Emerald Forest And The Blackbird gli Swallow The Sun si ripropongono al top e confermano quanto di buono fatto fino ad ora. Qualche piccolo momento meno memorabile non getta particolari ombre su un album che mostra i momenti più apprezzabili nelle parti più pesanti e meno immediate. Ciò trova anche conferma nel pensiero di chi scrive sul sentiero che il grupo di Jyväskylä dovrebbe scegliere come strada maestra, ossia il puntare su soluzioni mai troppo fruibili o di facile accessibilità. Attenzione, non si sta parlando di melodia, che, come abbiamo visto, i Nostri sanno usare alla grande, se vogliono, ma di una rincorsa esasperata verso il singolo di successo. Suonerà banale e demagogico, ma davvero c’è la speranza che il Dolore degli Swallow The Sun possa trovare piena affermazione lontano dalle mere logiche di effimere posizioni di classifica.
 

Vittorio “Vittorio” Cafiero

 

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Tracklist:
1.Emerald Forest And The Blackbird       
2.This Cut Is The Deepest             
3.Hate, Lead The Way                   
4.Cathedral Walls                   
5.Hearts Wide Shut                
6.Silent Towers                   
7.Labyrinth Of London (Horror Pt. IV)           
8.Of Death And Corruption               
9.April 14th                     
10.Night Will Forgive Us        

Durata: 67 minuti c.a.

Line-up:
Juha Raivio – Guitars
Matti Honkonen – Bass
Markus Jämsen – Guitars
Aleksi Munter – Keyboard
Mikko Kotamäki – Vocals
Kai Hahto – Drums

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