Recensione: Entering the Shadows

Creature del mastermind Blackheart13, i Black Aeons assaggiano la soddisfazione di tagliare il traguardo del primo album in carriera, dal titolo “Entering the Shadows“.
Il genere? Black metal. Anzi, come ormai bisogna spesso sottolineare, black metal e basta. Cioè, un ferreo aggancio ai dettami che definiscono uno stile pulito, privo di contaminazioni, diretto e frontale. Trovare una band che si cimenti nella fedele riproposizione di tale scenario non è facile, poiché la tentazione di uscire dalla retta via è forte, data la insita peculiarità di addentrarsi in territori inesplorati.
A onor di cronaca la definizione che si legge nelle note biografiche è quella che rimanda al melodic black metal. Ebbene, ciò non è del tutto incongruente con quello che suona il combo tedesco, giacché sono parecchi i momenti in cui l’armonia fa capolino dalle canzoni del disco. Tuttavia, almeno a parere di chi scrive, detta armonia non è sufficiente a definire esattamente il melodic black metal stesso.
Che, quasi a voler ribaltare quanto sopra esposto, fa invece capolino con un accento deciso nell’opener-track / intro “Vive la Mort” e, soprattutto nella susseguente “Dawn of a New Time“. Però, poi, il black metal di “Entering the Shadows” prosegue nel suo incedere. Potente, massiccio, aggiustato qua e là da qualche segmento di ambient per creare l’atmosfera. Atmosfera piuttosto cupa ma soprattutto arida di emozioni, quasi Blackheart13 volesse erigere le basi del proprio sound e fermarsi lì o poco più in là.
Un approccio alla questione che, è bene mettersi in testa che non trova molti riscontri nel campo del black metal, manifesta una purezza che si allaccia direttamente, come più su accennato, ai concetti cardine che, se sviluppati adeguatamente, danno vita al black metal medesimo.
Anche la voce di Blackheart13 non regala nulla a ciò che non sia aspro e arcigno, grazie a cantato che nasce dalla miscela delle harsh vocals e del growling. A proposito di lui, assieme a Jürgen G. erigono un wall of sound di tutto rispetto, anche se lo spessore non raggiunge valori estremi. E questo perché sono parecchi gli istanti in cui la potenza sprigionata non è dirompente. Potente sì, devastante no. Escluso, chiaramente, qualche momento di follia in cui i blast-beats deflagrano nell’aria (“Let Them Bleed“).
Sin qui tutto bene, tenuto anche contro della professionalità dei musicisti, la cui bravura fa sì che sia impossibile pensare che “Entering the Shadows” sia un debut-album. Anzi, il piglio è di quelli decisi, ricchi di personalità, dal carattere già formato. Tant’è che il sound del suddetto CD si può affermare che sia irreprensibile, scevro di difetti che ne svelino la natura underground.
Come invece accade troppo di frequente, il punto debole di una marea di act che bazzicano il metal estremo ma non solo è il songwriting. Scrivere canzoni che restino nella Storia è roba per gente da un talento ben sviluppato. Tanto per esemplificare basti pensare ad “Angel of Death” degli Slayer. Questo discorso, sfortunatamente per loro, aderisce assai bene ai brani del platter.
A parte le tracce già citate, e l’ottima “Into Darkness and Decay“, che si ascolta con piacere in virtù di un ritmo vincente, il resto del gruppo viaggia sui binari della mediocrità senza che ci sia quel quid in più che le possa rendere accattivanti. Il che, come ben noto, porta l’LP a scivolare nella noia.
Per questo motivo, “Entering the Shadows” non può che essere a uso e consumo dei blackster più appassionati.
Daniele “dani66” D’Adamo