Recensione: Entity

Di Emanuele Calderone - 11 Giugno 2011 - 0:00
Entity
Band: Origin
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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88

Gli Origin non sono un gruppo come gli altri, non lo sono mai stati e, con molta probabilità, non lo saranno mai.
Gli Origin invece sono, oggi più che mai, garanzia di qualità, grande talento e trovate al limite della genialità. Queste caratteristiche che da sempre distinguono il loro sound, li hanno portati a distaccarsi dalla massa del brutal più cervellotico e complesso.

Che la band non fosse uno di quei classici act che si sarebbero persi nel tempo lo si era capito con l’uscita, nell’ormai lontano 2002, di quel piccolo gioiellino chiamato “Informis Infinitas Inhumanitas”. Quella gemma grezza sarebbe stata preludio a veri e propri capolavori estremi quali  “Echoes of Decimation” e l’ultimo, acclamato, “Antithesis”.
Se il 2008 fu un anno d’oro per il combo di Topeka, il 2010 coincise però con un periodo piuttosto difficile per i ragazzi, che dovettero fronteggiare l’uscita del cantante James Lee, artista  in grado di raggiungere, con la sua voce, tonalità estremamente gutturali con una facilità disarmante. A ciò si aggiunga che proprio la performance dell’ex “ugola” dei Pathology e dei Vile contribuì significativamente al successo di “Antithesis”, grazie a un growl facilmente riconoscibile nel mare delle voci brutal.

Ovviata la mancanza di un singer con l’ingresso dell’ex Skinless Jason Keyser che, lo ricordiamo non ha preso comunque parte alle registrazioni, i quattro musicisti tornano a calcare le scene mondiali con il loro ultimo parto “Entity”, un lavoro che, ne siamo certi, farà parlare di sé per lungo tempo.
Ascoltare un disco targato Origin è sempre un’esperienza shockante perché, in fondo, di gruppi che suonano come loro ce ne sono pochi, e quei pochi (Brain Drill, giusto per fare un nome noto un po’ a tutti) non sono quasi mai riusciti a raggiungere i livelli qualitativi espressi da Paul Ryan e compagni.
“Entity” da questo punto di vista non fa eccezione: la complessità strutturale e quella concettuale dell’intera opera farebbero impallidire anche il più navigato ascoltatore di technical-death metal, questo soprattutto perché i Nostri non solo si dimostrano strumentisti a dir poco fenomenali, ma si riconfermano anche compositori di prim’ordine.
L’album, a dire il vero, si muove su sonorità abbastanza classiche, richiamando da vicino quanto già sentito sul precedente episodio partorito dai ragazzi del Kansas; va però notato che, questa volta, i limiti vengono spostati ancora più in là e il risultato è strabiliante. “Entity” riesce nell’impresa quasi impossibile di suonare articolato e vario come non mai, ma anche eccezionalmente diretto, a tratti addirittura quasi orecchiabile per gli standard del genere.

Il muro sonoro innalzato dal complesso ha dell’eccezionale: le chitarre di Paul tessono un riffing di una violenza e una potenza inusitata, pur mantenendo quella raffinata eleganza che conferisce un fascino maggiore all’opera; le linee delle sei corde sono serrate all’inverosimile eppure si riesce sempre a scorgere una certa ricercatezza nelle scelte melodiche. Ciò fa sì che sia scongiurato il pericolo di cacofonia, che è sempre dietro l’angolo quando si ha a che fare con composizioni tanto elaborate e impegnative.
La sezione ritmica, come da copione, lascia di stucco per veemenza e complessità: John Longstreth con la sua batteria scandisce tempi imprendibili, che sostengono il possente sei corde di Mike Flores, il quale ancora una volta si dimostra maestro nell’arte del basso, lanciandosi in passaggi in tapping al limite della follia.
Flores e Ryan si dimostrano anche ottimi cantanti, capaci di destreggiarsi con notevole disinvoltura tra growl gutturali, quasi cavernosi in più di un passaggio, e scream abrasivi, che bene si sposano con le atmosfere costruite dalla band.

Diviso in undici episodi, “Entity” conosce il suo unico punto debole nell’esigua durata generale, che non va oltre i 36 minuti di musica. È un vero peccato che i cinque si siano accontentati di un minutaggio così basso, anche perché la musica qui contenuta, come ampiamente detto, si attesta su livelli qualitativi davvero elevati.
E pensare che i primi secondi di musica non sono dei più brillanti: la prima volta che ho ascoltato “Expulsion of Fury” ho infatti temuto il peggio per via dell’introduzione caotica e confusionaria. Sembra infatti che i Nostri si siano fatti prendere la mano e abbiano voluto mostrare solo la loro bravura come freddi esecutori; eppure bastano pochi secondi e tutto torna ad attestarsi sui consueti standard. Il primo brano mette subito in chiaro le cose, gli Origin sono tornati violenti e precisi come non mai.
Più si va avanti con l’ascolto e più si ha la convinzione di essere davanti a un capolavoro: impossibile non rimanere esterrefatti davanti a meraviglie come “Saliga”, la toccante strumentale “The Descent”, la seguente “Fornever” (in poco più di 2 minuti è compressa una quantità di violenza che vi lascerà senza fiato). Splendide anche la breve “Banishing Illusion”, vero e proprio saggio di brutal death metal, o ancora le conclusive “Consequence of Solution” ed “Evolution of Extinction”. Nella prima si possono apprezzare soluzioni piuttosto “in-your-face”, che la rendono forse un poco standard, specie se rapportata al brutal più complesso, ma di grande impatto; la seconda invece spicca per la sua “semplicità”, tanto da essere uno dei pezzi più velocemente assimilabili. Ottimo il riffing, incalzante e tagliente, sostenuto dalla coppia Longstreth/Flores che scandisce le ritmiche con maestria e gran classe.

Sbalorditiva, come nella migliore tradizione di casa Origin, la copertina -ad opera dell’artista americano Colin Marks- a tema spaziale con delle suggestive tonalità che passano dal nero al grigio, sino ad arrivare al bianco.
Nulla da eccepire sulla qualità sonora: volumi perfetti, suoni pulitissimi, strumenti bene udibili e definiti, tutto risulta essere curato maniacalmente al fine di rendere il risultato finale il migliore possibile.
Gli Origin ancora una volta riescono lì, dove tutti hanno fallito. “Entity” è un album totalizzante, che rimarrà negli annali del death metal più evoluto. L’eccezionale tecnica esecutiva unitamente a un livello compositivo inarrivabile, ne fanno un prodotto di grande pregio, che farà felici tutti voi.
Acquisto obbligato.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Expulsion of Fury
02- Purgatory
03- Conceiving Death
04- Swarm
05- Saliga
06- The Descent
07- Fornever
08- Committed
09- Banishing Illusion
10- Consequence of Solution
11- Evolution of Extinction

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