Recensione: Epic

Di Alessandro Calvi - 7 Novembre 2005 - 0:00
Epic
Band: Borknagar
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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88

Il genio dell’uomo che risponde al nome di Vintersorg è innegabile, così come è inequivocabile come lasci il proprio segno in ogni cosa che tocchi. Giunto al secondo album con i Borknagar, la sua influenza si fa sentire sempre più, e non è necessariamente una brutta cosa.
La sua impronta su questo “Epic” è decisamente più marcata rispetto al suo predecessore “Empiricism” a partire dal song-writing e dalle tematiche cosmiche affrontate nelle lyrics.

Un’altra conseguenza dell’apporto “vintersorghiano” alla realizzazione delle canzoni è l’allungamento del tempo di ascolto medio necessario per la comprensione del disco. Se già i Borknagar per conto loro non sono mai stati un gruppo “facile” da ascoltare, da sempre dediti a un gran amalgama di generi e strumenti diversi (soprattutto sul bellissimo “The Archaic Curse”), con l’inserimento del nuovo frontman sembrano quasi voler entrare nel guinness dei primati in questo senso. Vere e proprie aggressioni sonore di marca black si alternano a cori epici in cui la voce pulita del singer fa letteralmente venire la pelle d’oca per la carica evocativa di cui è capace, ma anche passaggi sinfonici, momenti al limite del prog e anche oltre, continui cambi di tempo, il tutto miscelato e mixato in una maniera davvero unica e irripetibile.

L’album si apre con “Future Reminiscence”, l’inizio sembra appartenere a un LP vecchiotto e un po’ rigato di musica classica di qualche anno fa, l’orchestra suona la melodia portante della song per pochi attimi per essere subito sostituita da chitarre, basso, batteria (e una produzione migliore e più alta) che riprendono ovviamente lo stesso tema musicale. Inutile dire che si tratta di una delle canzoni più accattivanti del disco. Nonostante i suoi vari cambi di tempo, i passaggi ora black ora sinfonici, ora affidati semplicemente a una chitarra acustica, e l’estrema versatilità di Vintersorg come cantante, che, semplicemente con un cambio di tono di voce, è in grado di cambiare il volto del brano, si tratta di una delle tracce più facilmente assimilabili dell’intera scaletta.
Più veloce e per certi violenta, con meno concessioni a stacchi puramente melodici, è la successiva “Traveller”, canzone nella quale comunque Vintersorg non si risparmia alcuni passaggi in voce pulita quasi solisti, praticamente senza nessun accompagnamento. Personalmente poi ho apprezzato molto anche l’uso delle tastiere e della melodia di pianoforte che faceva capolino saltuariamente in sottofondo.
Compiere l’analisi di una traccia di questo disco è in ogni caso impresa davvero ardua, i motivi sono molteplici. Tanto per cominciare: gli stili che qui vengono fusi insieme, ogni canzone passa attraverso musiche completamente diverse tra loro al punto da far quasi pensare che siano brani diversi incollati insieme in una sorta di medley. Ognuno di questi passaggi meriterebbe quindi una disamina indipendente, con il risultato di avere almeno 4 o 5 recensioni per ogni song. Una cosa praticamente impossibile, anche perchè la loro complessità media è tale che ciò che ho sentito e percepito io sarà sicuramente diverso da ciò che verrà veicolato a qualsiasi altro ascoltatore.
Mediamente più lenta della precedente è la terza “Origin”, canzone nella quale non vengono risparmiati i cori, spesso usati a duettare con la voce growl e dotata di un ritornello estremamente orecchiabile che rimane subito in testa. Se non si rischiasse la possibile scomunica potrei quasi dire che il coro del ritornello strizza più di un occhio al power, ovviamente le influenze non si fermano qui e difatti a metà del brano troviamo anche un passaggio parlato con la voce leggermente effettata dal sapore elettronico. Questa sorta di “voce narrante” elettronica, l’avevamo già ritrovata anche in alcuni degli album solisti di Vintersorg e qui ritorna integrandosi perfettamente anche nel sound dei Borknagar.
Come quinta traccia troviamo “The Weight of Wind”, brano esclusivamente strumentale di quasi quattro minuti in cui a farla da padrone è il pianoforte. Il suono del piano è infatti sempre in primissimo piano e gli altri strumenti quando compaiono restano sempre molto più bassi, quasi a non voler disturbare la melodia principale. Una melodia molto semplice, ma che potrei definire quasi ipnotica nella sua ripetitività, che mi ha portato in breve tempo a considerare questo brano come uno dei miei preferiti.
Si torna a pigiare sull’acceleratore con “Resonance”, canzone dal ritmo sostenuto grazie soprattutto alla batteria e in particolare alle tastiere che qui riprendono a tratti sonorità da anni ’70. Come queste riescano a coniugarsi perfettamente con dei cori di matrice power, con la voce di Vintersorg qui particolarmente incattivita e con le partiture sinfoniche presenti in sottofondo, creando un sound incredibilmente omogeneo, rimane abbastanza un mistero, almeno per me.
In settima posizione troviamo un’altra canzone in grado di far storcere un po’ il naso al primo ascolto, perchè mai ci si aspetterebbe cose simili dai Borknagar. Non saprei come altrimenti descrivere infatti “Relate (Dialogue)” e alcuni dei suoi cori decisamente “atipici”.
Un’altra delle mie canzoni preferite è la nona “Circled”, aperta da un arpeggio di chitarra acustica, è una canzone piuttosto lenta rispetto alla media e che lascia ampi spazi a passaggi più melodici. Si tratta forse di quella in cui Vintersorg si esibisce al meglio nell’uso della voce pulita, oltre che dell’ennesimo esempio della capacità del gruppo di creare passaggi corali al tempo stesso orecchiabili, epici e di grande impatto.
Dolcissima la melodia che apre infine “The Wonder”, ultimo capitolo di questo capolavoro che risponde al titolo di “Epic”. Una dolcezza che è destinata presto a lasciare spazio alla voce growl, ma che così come era scomparsa, torna prepotentemente alla ribalta seguendo prima le lunghe parti corali e poi la voce narrante e molto carismatica dell’onnipresente Vintersorg. Lo spirito di tutto il disco non viene assolutamente tradito da questa ultima song che mantiene alta la qualità media del song-writing, come sempre caratterizzato da un’estrema varietà di suoni, di cambi di tempo, di influenze e da un’indiscussa genialità.

Per concludere si tratta di un album veramente impressionante, variegato, evocativo, aggressivo e al contempo riflessivo, capace di strapparmi una lacrima ad ogni ascolto per le composizioni di cui è pregno. L’impronta di Vintersorg su questi Borknagar si fa sempre più ampia e profonda portando il gruppo verso orizzonti che forse i musicisti stessi prima non avrebbero osato sperare. Una band sempre più importante sotto il profilo musicale, destinata a divenire punto di riferimento non solo per la scena estrema nord-europea, ma per chiunque apprezzi il metal in ogni sua sfaccettatura.

Tracklist:
01 Future Reminiscence
02 Traveller
03 Origin
04 Sealed Chambers of Electricity
05 The Weight of Wind
06 Resonance
07 Relate (dialogue)
08 Cyclus
09 Circled
10 The Inner Ocean Hypothesis
11 Quintessence
12 The Wonder

Alex “Engash-Krul” Calvi

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