Recensione: Epitaph

Di Matteo Bovio - 1 Settembre 2004 - 0:00
Epitaph
Band: Necrophagist
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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62

Per quanto mi riguarda siamo di fronte alla grossa delusione del 2004 in ambito Death Metal. E scoccia parecchio, visto che la mano dietro a questo Epitaph è quella di uno dei gruppi più promettenti d’Europa. Il loro primo album (Onset Of Putrefaction) è stato infatti oggetto di culto per molti amanti dell’underground: una miscela esplosiva di tecnica, creatività e potenza. Un peccato che un lavoro di simile portata sia rimasto in ombra, ma questo è il destino di tantissimi album estremi. Arriva la possibilità di “riscatto”, grazie a un ghiotto contratto con la Relapse: ma il risultato non è minimamente degno di essere accostato a quanto il gruppo aveva lasciato intravedere col debutto.

La formula non è variata in maniera troppo netta, ma alla relativa continuità stilistica non fa da contrappeso un’altrettanto continua cura della qualità. O meglio, è probabile che con le otto nuove tracce il gruppo pensasse di assestare un altro colpaccio simile al precedente, ma così non è stato.

Chi li conosce può immaginare a grandi linee la formula: Death Metal ultra-tecnico, molto veloce e supportato da tanto di cantato gutturale. Verrebbe da dire Brutal, non fosse che con un certo tipo di sonorità Epitaph ci azzecca proprio poco… limitiamoci dunque a descriverlo come Death estremo e particolarmente tecnico. E soprattutto su quest’ultima caratteristica i Necrophagist sembrano essere particolarmente impuntati: i fraseggi di chitarra, intrecciati a volte in maniera al limite del pazzesco, sarebbero in grado di far venire i giramenti di testa anche al più accanito sostenitore della tecnica fine a sè stessa. Sentire questo tipo di armonizzazioni prestato al contesto estremo non è magari la cosa più originale al mondo; ma il modo in cui il gruppo porta ai limiti la proposta è spiazzante.

Semplicemente spiazzante? No, anche limitante. A concentrarsi così tanto sulla questione tecnica sembra proprio che si siano dimenticati un paio di particolari. Innanzitutto l’impatto: quasi inesistente, scarseggiante in potenza, a causa di un riffing troppo impegnato a costruire trame intrecciate per poter anche dedicarsi ad un adeguato tappeto sonoro. Secondo, la sgradevole sensazione che venga forzata la mano in ogni singolo passaggio: è poco digeribile un lavoro che concede così poco spazio alla semplicità, preferendo sempre e comunque la soluzione arzigogolata in quanto maggiormente tecnica. Da qui a un’ennesima considerazione: i pezzi presi nell’insieme mettono in campo una buona continuità, ma presi uno ad uno sono privi di una propria singolarità. Non che siano indistinguibili: la continua evoluzione degli arrangiamenti aiuta molto in tale senso. Ma è evidente come le strutture, per quanto presenti, siano costruite solo su basi tecniche, senza riguardo alcuno per l’ascolto.

Sicuramente Epitaph lascia a bocca aperta per la tecnica messa in campo. Ma quanto può durare la sorpresa? Due, tre ascolti? Da un buon gruppo (come i Necrophagist hanno dimostrato in passato di essere) io mi aspetto buone canzoni. Canzoni che rimangano impresse non per il particolare passaggio o perchè l’orecchio le ha banalmente assimilate, ma per il groove, l’impatto, il gusto, l’espressività… e chi più ne ha più ne metta. Impossibile invece cogliere un barlume di attaccamento ai pezzi, offuscato continuamente dalla ricerca della più perfetta esecuzione. Fino ad arrivare quasi ad un totale appiattimento.

Il cd è suonato bene, la tecnica è eccelsa, i suoni sono molto buoni, il song-writing è il frutto del lavoro di personaggi che sicuramente hanno un’enorme padronanza dei propri strumenti. Ma vien proprio da dire, per quanto scontato possa sembrare, che tutto questo non basta. Un voto persino troppo alto.
Matteo Bovio

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