Recensione: Essence of Nine

Di Emanuele Calderone - 2 Agosto 2011 - 0:00
Essence of Nine
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Anno: 2011
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Nella mitologia norrena Sleipnir è un cavallo che Odino ha ricevuto in dono da Loki, dio dell’astuzia. Dotato di otto zampe, capace di correre più veloce degli altri e abile nel cavalcare terra cielo e acqua, Sleipnir è considerato il migliore tra i cavalli posseduti dalla divinità della guerra.

Proprio da questo mito prendono il nome i The Flight of Sleipnir, band americana nata nel 2008 per decisione dei due ex-Acheronian Dirge, David Csicsely e Clayton Cushman.
Venuto al mondo con l’intento di esplorare sonorità ben lontane dal classico black metal del loro precedente gruppo, il duo da vita a un caleidoscopio musicale in cui si scorgono suggestioni psichedeliche, hard rock e progressive, elementi stoner e doom, passaggi folk e, in minor parte, assalti dal sapore vagamente black. Il risultato? Una musica formalmente complessa, articolata e piena di sfaccettature, capace allo stesso tempo di toccare le corde più profonde dell’anima e di rievocare, con le sue suadenti melodie, i miti nord europei.

Giunti con il nuovo “Essence of Nine” al traguardo del terzo studio-album, da sempre considerato la vera prova del nove per tutti i musicisti, i Nostri non si limitano soltanto a confermare quanto di buono fatto con i precedenti “Algiz + Berkanan” e “Lore”, ma compiono un considerevole passo avanti, andando a comporre il disco migliore e più complesso della loro carriera.
Strutturalmente siamo al cospetto di un lavoro piuttosto difficile, molto elaborato e ricco di sfumature, in grado però di “arrivare” con una certa facilità, pur senza risultare eccessivamente diretto. Il riffing, sebbene assai articolato, non si perde mai in inutili fronzoli, risultando così sempre elegante ma in un certo senso quasi minimalista. Ad arricchire il comparto delle sei corde, ci pensano i raffinati interventi di chitarra acustica, che conferiscono alle composizioni una delicata atmosfera melanconica. La batteria, quasi timidamente, disegna ritmiche essenziali ma di gran gusto, dal sapore jazz. Il lavoro di basso non è da meno: il quattro corde pulsa costantemente non limitandosi mai al solo comparto ritmico, ritagliandosi uno spazio di primo piano, contribuendo anche melodicamente.
Ultime ma non ultime ci sono poi le due voci, entrambe meravigliose, di David e Clayton. Scream, growl, voce pulita, cori, tutto convive armoniosamente, trovando il proprio naturale posto all’interno delle canzoni.
Ecco che dunque si affiancano a momenti “tirati”, nei quali è l’anima più estrema del combo viene a galla, altri molto più delicati e pacati, caratterizzati ora da aperture melodiche ariose ora di passaggi malinconici.

Aperto dai cinque minuti abbondanti di “Transcendence”, brano dall’anima stoner, nel quale riaffiorano anche reminiscenze Zeppeliniane, il disco non conosce un attimo di stanca. Nessun brano risulta superfluo, al contrario: ciascuno degli otto episodi evidenzia la maturità e la solidità del songwriting propostoci.
Naturalmente taluni pezzi riescono a svettare e a raggiungere lo status di veri e propri capolavori: ci stiamo riferendo a brani del calibro di “Upon this Path We Tread”, “A Thousand Stones” e “Nine Worlds”.
La prima delle tre è forse quella che racchiude tutte le influenze che caratterizzano la musica degli statunitensi: parte lenta, cadenzata, melodica e pian piano cresce sempre di più, muovendosi tra lo stoner più puro e momenti più estremi. Il risultato è una canzone sanguigna capace di stamparsi con prepotenza nella mente dell’ascoltatore per non uscirne più.
“A Thousand Stones” è invece più riflessiva, pacata. Nonostante nel finale i ragazzi pigino il piede sull’acceleratore, l’atmosfera mesta non svanisce, diventando il perno centrale attorno al quale la traccia è costruita.
Aperta da un arpeggio di chitarra classica, “Nine Worlds” rappresenta il capolavoro nel capolavoro. La song riesce ad interpretare con disinvoltura e classe sia gli stilemi stoner, richiamando alla mente, in più di un passaggio, i Kyuss (specialmente nel riffing sporco e “ignorante”), sia quelli black, specie per quanto concerne l’intensità, la carica emotiva e, soprattutto, per la voce. Lo screaming travolge l’ascoltatore con una violenza inusitata, specie considerando la tipologia d’opera.

Arrangiamenti e aspetto emotivo, come si può evincere da quanto scritto fin’ora, sono dunque stati curati con attenzione certosina. Si può dire lo stesso per l’esecuzione e la produzione? Sì, nel modo più assoluto. I musicisti sfoderano una prestazione eccellente, non mostrando mai il fianco a critiche di alcuna sorta.
Stesso dicasi per la produzione: i suoni sono ottimi, puliti ma mai posticci, e contribuiscono a rendere ancor più appassionante l’ascolto di questo full-length.

A rendere ancora più gustoso il risultato finale ci pensa anche un paking di livello superiore: la copertina ricalca a grandi linee lo stile di “Algiz + Berkanan” e, ancor di più, di “Lore”. Il tipo di disegno mi ha riportato con la mente alle vecchie copertine dei Cream e compagnia psichedelica.

“Essence of Nine” si rivela dunque un album meraviglioso, capace di coinvolgere, di appassionare e, a suo modo, anche di divertire. Lavori così ricchi e pieni di spunti ne escono sempre meno, e forse, anche per questo motivo, il valore di questo cd tende a salire ancora di più.
Consigliato a tutti.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Transcendence
02- Upon this Path We Tread
03- A Thousand Stones
04- As Ashes Rise (The Embrace of Dusk)
05- Nine Worlds
06- The Seer in White
07- As Cinders Burns (The Wake of Dawn)
08- The Serpent Ring

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