Recensione: Farsotstider

Di Daniele Balestrieri - 24 Marzo 2006 - 0:00
Farsotstider
Band: Thyrfing
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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78

Farsotstider, il “tempo della pestilenza”, nasce concettualmente appena qualche mese dopo la pubblicazione di Vansinnesvisor, l’album sperimentale che segnò la dipartita definitiva dei Thyrfing dai lidi del Viking Metal power canonico. Laddove Valdr Galga e Urkraft furono la coppia Viking per eccellenza, un miscuglio micidiale di tastiere poderose e chitarre cavalcanti, Vansinnesvisor e questo recente Farsotstider rappresentano invece la dicotomia più oscura, quasi lugubre, di questi che possiamo ormai definire i Neothyrfing.

Abbandonate le esplosive tastiere del passato, Farsotstider decide di seguire il sentiero battuto da Vansinnesvisor mostrandone però le caratteristiche più mature e ricercate. Insomma siamo di fronte a un Vansinnesvisor II, la cui evoluzione lascia intendere che molti fardelli sono stati abbandonati sul percorso e molti orizzonti si aprono per uno dei sestetti più longevi della storia del metal svedese.
La prima caratteristica che salta all’orecchio è l’abbandono della comica – ma molto interessante – batteria di gomma che li accompagnò nell’ultima uscita in favore di una batteria più canonica, suonata sempre con la stessa arte da un maturato Joakim Kristensson. È ancora la selvatica e roca voce di Thomas Väänänen a trascinare in avanti l’album, donandogli un’atmosfera ancora più drammatica e oscura del precedente Vansinnesvisor, coadiuvato dall’indispensabile contributo della spettrale tastiera di Peter Lof, che crea con le sue armoniche spiritiche orde di fantasmi che opprimono e piagano tutte le otto tracce di quest’ultima fatica.

Proprio in virtù di questa vena “catacombale” dell’album, la sua collocazione tra i generi musicali è quantomai ardua. Sicuramente molti aspetti di questo Farsotstider si rifanno a quel neofolk pagano che spopola in Scandinavia da alcuni anni a questa parte, ma sia i suoi aspetti folk che quelli viking che quelli meramente death sono troppo blandi per categorizzarlo con decisione. È una storia questa che ultimamente si ripete molto spesso in quest’ambito, e personalmente mi sono trovato in grande imbarazzo a ordinare più di una delle uscite più recenti del nord Europa. Anche la maggior parte della critica specializzata li ha definiti semplicemente Viking grazie al loro passato, ma quest’etichetta ormai sta diventando un po’ inadeguata. Anche perché le tematiche trattate sono per lo più di fantasia, sempre a metà tra il folle, il tradizionale e il grottesco / orrorifico. Stavolta tutto l’album è cantato in svedese, riducendone la fruibilità da parte dei non scandinavi, ma aumentandone decisamente il valore esotico.
Tutte le tracce seguono uno schema più o meno omogeneo: delle tastiere lugubri tendono dei fili appiccicosi sui quali si distendono delle chitarre grevi, ben lontane dalla chiarezza delle loro uscite di gioventù.
La voce di Väänänen, manco a dirlo, rimane fedele a quegli urli disarticolati a metà tra lo scream e il growl che tanti consensi hanno suscitato negli estimatori di Vansinnesvisor, che tra l’altro supporto incondizionatamente.
Se uno degli scopi principali della musica è quello di ispirare, intrattenere e non annoiare, si può dire con una buona dose di certezze che quest’album riesce in tutti e tre gli intenti.
Ogni canzone, per quanto parte di un filo conduttore abbastanza unitario, contiene al suo interno delle piccole parti che sono vere e proprie sorprese, che trascinano l’ascolto generando appigli da attendere con furia e curiosità.
Melodicamente parlando si nota la grande maturità della band svedese, coadiuvata da una produzione eccellente targata nientemeno che Henrik Edenhed e Cosmos Studios, due nomi già conosciuti ai più che non sono altro che garanzia di qualità, sebbene entrambe siano entità nuove nel panorama neovikingfolk. Tra le tracce che lasciano il segno citerei senza dubbio la quasi-ballata “Höst“, impreziosita da un buon ritornello corale e devastata dalla spasmodicità della prestazione di Väänänen, continuamente sull’orlo di una crisi psicofisica – oppure la rockeggiante “Baldersbålet“, o l’ottima title track e la mia preferita, l’epilettica “Jag Spår Fördärv“, che tra chitarre pesanti, tastiere di grande atmosfera e un drammatico pianoforte di sottofondo, libera nell’aria una miriade di creature spettrali che è un piacere seguire con gli occhi dell’anima durante l’ascolto.

Farsotstider è un album di gran qualità, e una brillante maturazione di Vansinnesvisor. È ovviamente dedicato a chi ama i nuovi Thyrfing, che con i vecchi Thyrfing non hanno nulla a che spartire. L’album è fresco e vivace nella sua decadenza, e dovrebbe essere ascoltato da ogni buon amante di neofolk viking tendente all’apocalitticità e al funebre. Un plauso alla copertina, targata dal nostro Lorenzo Mariani già autore delle copertine di band del calibro di Darkthrone e Marduk, e alla veste grafica del libretto, in cartone nero con i testi in marrone (praticamente illegibili) e alla sleeve con una copertina secondaria molto minimale che rende ben chiara l’idea del concept semplice e assassino che ha catturato i Thyrfing del 2006.

TRACKLIST:

Far At Helvete
Jag Spår Fördärv
Farsotstider
Höst
Själavrak
Elddagjämning
Baldersbålet
Tiden Läker Intet

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