Recensione: Feel The Fire

Di Andrea Pinazzi - 6 Ottobre 2011 - 0:00
Feel The Fire
Band: Overkill
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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86

Siamo nel 1985. Un tuffo nel passato, un balzo all’indietro di ben ventisei anni. Un nuovo movimento sta nascendo, quel thrash metal che attinge a piene mani dal connubio tra punk e NWOBHM. Molte sono le band che stanno movimentando questi anni sebbene non tutte stiano godendo del successo che meritano. Non è il caso degli Overkill, che possiamo ritenere uno dei massimi esponenti del genere. “Feel The Fire” è il (roboante) disco d’esordio di questo gruppo proveniente da New York.

Premendo il tasto play, veniamo accolti da un’opener (“Raise The Dead”) che non fa nulla per nascondere le origini e le influenze della musica dei Nostri. Qualche secondo per farsi avvolgere da una decisa doppia cassa e siamo già catapultati in una cavalcata tipica degli 80’s. Notiamo immediatamente un tratto distintivo degli Overkill: la voce del cantante Bobby “Blitz” Ellsworth. Tagliente, pungente, roca, ruvida. Una di quelle voci che non passano inosservate, che fanno drizzare l’orecchio. Arriviamo alla fine della traccia con ottimi propositi ma non c’è il tempo di rifiatare perché è il turno di “Rotten To The Core”. Ripartiamo esattamente da dove abbiamo lasciato, quindi altra canzone molto ritmata che inevitabilmente ci farà muovere la testa. Un chorus efficace, soprattutto in sede live, ci farà urlare «Rotten… To The Cooooore!» per molto tempo. Ci accorgiamo come le sonorità tendano a indurirsi, esplodendo definitivamente nella successiva “There’s No Tomorrow”. I ritmi si fanno più serrati, vengono parzialmente abbandonati i tipici riff tanto cari all’heavy metal e si preme sull’acceleratore, con l’accoppiata basso/batteria a creare una muraglia sonora e le chitarre che si lasciano andare una volta per tutte. Un acustico (ma non troppo) break centrale ci porta a un magnifico solo eseguito dalle sapienti mani di Bobby Gustafson e, ancora una volta, il singer Ellsworth la fa da padrone, dimostrando notevoli qualità. Una traccia che ‘fa effetto’, rimane in testa e difficilmente ne uscirà. Una hit, insomma. Tocca a “Second Son” riaprire le danze. Traccia senza infamia e senza lode, inserita perfettamente nel contesto del disco. Si parlava d’influenze, giusto? Bene, giunti a tre quarti della song, chiudendo gli occhi verrebbe da pensare «ehi, ma c’è Steve Harris al basso?». No, c’è Carlo “D.D.” Verni. Bassista perfetto per carisma e capacità. Con “Blitz”, l’anima degli Overkill.
Siamo arrivati a metà strada: tempo di riprendere fiato? Macché, tutt’altro! Ci aspetta quella che può essere considerata la prima vera canzone thrash metal degli Overkill. “Hammerhead” è, come suggerisce il titolo, una martellata senza compromessi. Rat Skates, dietro le pelli, si danna per dar vita a un drumming imponente. Sezione ritmica e solista, vocals, il tutto viene innalzato a un gradino più alto, più spinto, più estremo. È giunto il momento di spezzare la dinamicità del disco: compito affidato alla title-track “Feel The Fire”. Mid-tempo caratterizzato dalle classiche cavalcate in triplette, con un basso caldo e avvolgente, e una solida sezione ritmica. Odio ripetermi, ma ancora una volta, Bobby Ellsworth fa la differenza. “Blood And Iron” ci aspetta dietro l’angolo, ed è una di quelle canzoni che fa dell’immediatezza la sua forza. In soli due minuti e quarantuno secondi, troviamo tutte le caratteristiche tipiche di quel thrash metal ancora in fase embrionale. Riff chiaramente ispirati dal punk, soli al fulmicotone, doppia cassa a mille l’ora. Altro pezzo da novanta. L’ottava traccia risponde al nome di “Kill At Command”. Possiamo notare un’altra caratteristica fondamentale degli Overkill, che nei dischi a venire sarà messa maggiormente in risalto: il grande lavoro di basso. Non si limita ad accompagnare passivamente la canzone, ma ha una sua anima ben definita. Canzone tutto sommato non eccelsa, se non fosse (ancora) per un ottimo lavoro in fase solista di Bobby Gustafson, che si dimostra essere ‘un bel manico’. Un soffio di vento e un’atmosfera più cupa ci introducono a “Overkill”, nona traccia dell’album. Altro grande pezzo che fortifica l’idea di avere per le mani una band molto valida e che farà parlare di sé negli anni a venire. Chiude le danze “Sonic Reducer”, breve canzone che poco aggiunge al disco, ma che sicuramente nulla toglie.

Ed eccoci qui, nel 2011. Costatiamo che i suoni sono molto grezzi, alcuni strumenti non godono della potenza e della compattezza alle quali siamo abituati oggi, ma non è questo che conta. Ciò che conta è che ventisei anni fa è nato un grande gruppo. Un nome come tanti altri ha avuto le qualità per emergere, per far parlare di se, per ritagliarsi uno spazio ben definito e diventare uno dei ‘grandi’. Gli Overkill hanno pubblicato album migliori di questo, è vero. Però signori, la storia passa (anche) da qui.

Andrea “Blitz” Pinazzi

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Tracce:
1. Raise The Dead 4:20
2. Rotten To The Core 5:01
3. There’s No Tomorrow 3:23
4. Second Son 3:53
5. Hammerhead 4:03
6. Feel The Fire 5:52
7. Blood And Iron 2:41
8. Kill At Command 4:49
9. Overkill 3:28
10. Sonic Reducer (Dead Boys cover) 2:49

Durata 40 min.

Formazione:
Bobby “Blitz” Ellsworth – Voce
Bobby Gustafson – Chitarra
Carlo “D.D.” Verni – Basso
Rat Skates – Batteria

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