Recensione: Finis Dierum

Di Marco Donè - 10 Gennaio 2016 - 0:01
Finis Dierum
Band: Krysantemia
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2015
Nazione:
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45

Secondo full length per i modenesi Krysantemia, band attiva dal 2009 e dedita a un thrash metal dalle venature death. Il quintetto si è creato un certo seguito grazie a un’intensa attività live, riuscendo a condividere il palco con alcuni nomi di caratura internazionale quali Marduk, Belphegor, Death Angel e Obituary. Il debutto sulla lunga distanza arrivò nel 2012, e mise in luce un songwriting acerbo, una band che per poter lasciare il segno in una scena competitiva come quella attuale, doveva apportare qualche miglioria alla propria proposta. Finis Dierum, questo il titolo della nuova fatica del combo modenese, risulta quindi essere un lavoro importante per il futuro della band, una sorta di esame, un lavoro che può far capire se il sentiero della crescita, della maturazione sia stato intrapreso oppure no.

 

Rispetto all’esordio, Finis Dierum presenta una produzione migliore che dona particolare risalto a batteria e voce, mentre le chitarre, a volte, risultano un po’ sacrificate. Altro aspetto a balzare subito all’attenzione dell’ascoltatore, è la crescita di Daniele Puccini dietro al microfono. Nel primo disco risultava estremamente piatto nella sua prestazione, qui, invece, riesce a essere più vario, utilizzando sia soluzioni al limite del growl che parti in cui va a sporcare leggermente la propria voce, riuscendo a tracciare linee vocali dotate di una certa armonia. Forse non risulterà convincente per tutta la durata dell’album ma va dato merito del miglioramento cercato e ottenuto. Inoltre, va segnalato che l’impeto e l’aggressività che caratterizzavano le composizioni del debutto, lasciano qui spazio a tempi più cadenzati, lenti. Gli assalti frontali ci sono, vedi la title track, ma in questo secondo lavoro, i Krysantemia, sembrano aver deciso di alzare il piede dall’acceleratore, sfociando spesso in passaggi heavy/thrash più che thrash/death.

 

Finis Dierum si struttura in undici tracce, in cui vanno sicuramente nominate la già citata title track, la più violenta del lotto, la conclusiva Saint Evil, caratterizzata da delle piacevoli melodie e da un ritornello capace di restare impresso già dal primo ascolto. Molto interessante Sadistic Possession, che mette in mostra un lato quasi sperimentale nel songwriting del quintetto modenese, presentando, in alcuni passaggi della canzone, un’anima quasi electro/industrial. Da annoverare tra gli highlight del disco anche Six Feet Away, forse la traccia più articolata dell’intero lavoro. Quelli che abbiamo fin qui elencato, sono i punti salienti di questo full length ma, come spesso accade, non è tutto oro quel che luccica. Infatti, queste canzoni presentano tutti i limiti che caratterizzavano il primo platter. Songwriting piatto, dettato in particolar modo da un drumming incapace di donare dinamica alle varie song. Tracce che lasciano poco di sè ad ascolto finito. Se poi andiamo ad analizzare il resto del disco, ci imbattiamo in molte soluzioni scontate, in cui la sensazione del già sentito affiora spesso. Certo, è evidente la passione e la voglia che i Krysantemia mettono nelle loro composizioni, ma questo non è sufficiente per farle decollare.

 

Così, ad ascolto finito, la mezz’ora su cui si sviluppa Finis Dierum, offre, purtroppo, più ombre che luci. Il songwriting, come già accennato, risulta piatto, a tratti scontato, manca la capacità di sorprendere, di tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore. Le soluzioni risultano spesso ripetitive, in particolare quando i Krysantemia provano a picchiare duro, a velocizzare i tempi. Anche la prestazione dei singoli non riesce a lasciare il segno, non è lacunosa, sia chiaro, risulta, però, priva di mordente. Se, come dicevamo all’inizio, Finis Dierum rappresentava una sorta di esame per la band modenese, va detto che, ahimè, non viene superato. E come ogni volta in cui non si supera un esame, bisogna rimettersi a studiare, sedersi nuovamente sui libri, iniziare da dove ci sentiamo più preparati e cercare di migliorare partendo da lì. Questo è quello che ci sentiamo di consigliare ai Krysantemia. Partire dai punti in cui hanno messo in mostra le soluzioni migliori. Il nuovo lavoro ha rivelato una sorta di alleggerimento nella proposta del quintetto di Modena. Se questo alleggerimento rappresenta il futuro, il sentiero che la band ha deciso di intraprendere, va approfondito, curato e sviluppato, partendo dai punti più luminosi presenti in questo secondo disco. Partendo da quelle canzoni citate poco sopra, canzoni che, nonostante presentino qualche limite, riescono ad emergere durante l’ascolto. Aspettando fiduciosi la prossima prova sulla lunga distanza, va detto che, al momento, i Krysantemia, purtroppo non convincono.

 

Marco Donè

 

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