Recensione: Future Past

Di Fabio Vellata - 25 Febbraio 2012 - 0:00
Future Past
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Anno: 2012
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86

Ventiquattro anni.
Tanto tempo è servito a Michael Thompson, eminente chitarrista newyorkese d’eccellente virtù, per dare un seguito all’enorme “How Long”, album hi-tech/AOR d’incredibile raffinatezza che nel corso del tempo ha acquisito i profili mitizzati e sfuggenti del super classico.
O, meglio ancora, del capolavoro assoluto che vale un’intera carriera.

Un disco talmente incisivo e fondamentale, da non richiedere particolari rivisitazioni o sequel: eccezion fatta per un secondo capitolo solista intitolato “The World According To MT” (1997), dai toni blues, fusion e smooth jazz decisamente meno affini ai ritmi tipici del rock adulto, e per un terzo ed introvabile cd interamente strumentale (“MT Speaks” del 2006), la vita artistica dell’abilissimo guitar player ha prediletto i ruoli più defilati – seppur sempre prestigiosi – del session man di extra-lusso, offrendo opera, estro ed ingegno in un eterno girovagare al servizio dei più svariati esponenti del mondo della musica.
Joe Cocker, Neil Diamond, Lionel Ritchie e Phil Collins, Michael Bolton, Benny Mardones e Great White, sino a Tozzi, Cocciante e Celentano, le uscite ed i personaggi che si sono fregiati della collaborazione di Thompson sono innumerevoli, e gli album pubblicati negli ultimi venticinque anni con il suddetto inserito tra i crediti sono un quantitativo sterminato, tanto da superare comodamente le trecento unità tra comparsate e partecipazioni.

Dopo aver manifestato in ogni dove i propri eccelsi e ben noti valori esecutivi, è arrivato tuttavia anche per il buon “M.T.” il momento di fare i conti con il passato, nel tentativo – in un’epoca di riscoperte continue ed infiniti come back – di fronteggiare la gloria del primigenio rock westcoastiano senza sfigurare al confronto con dei trascorsi di grande prestigio e – come ovvio – di notevole “peso” storico.
Impresa all’apparenza titanica, data la magnificenza dell’osannato predecessore (e non ultima, dalla crew che contribuì ad inciderlo), che tuttavia Thompson riesce quasi a mettere a segno, portandoci in regalo l’ennesimo esempio di un talento prezioso e cristallino, tenuto troppo spesso celato al pubblico appassionato di tali sonorità.

Abbiamo detto “quasi”.
Come spesso occorre ricordare in casi simili, sarebbe in effetti del tutto illusorio ed insensato il pensiero di un accostamento troppo stretto con qualcosa che si è dimostrato nel tempo, capace di porsi quale termine di paragone per un intero genere musicale.
Meglio quindi, maneggiare la questione con più calma, accettando la qualità di un lavoro assolutamente di grandissima classe, seppure dotato di qualche oncia in meno di fascino e “divina” ispirazione.
Il meccanismo si rivelerà ancora una volta utile nell’apprezzare la ricchezza di un album di alto valore come “Future Past”, ottimo a partire dal nucleo di musicisti raccolti da Michael Thompson – per la gran parte provenienti dai Soleil Moon, gruppo statunitense non molto noto da queste parti – senza, come ovvio, dimenticare la bontà delle canzoni, omogenee nel mostrarsi caratterizzate da un songwriting carico di feeling e buone melodie.

La chitarra dei mastermind newyorkese, fa questa volta il paio con la voce roca e potente di Larry King, singer dotato di una timbrica non certo assimilabile a quella dello storico Moon Calhoun ma ugualmente espressiva, in grado di dominare le composizioni fornendo note peculiari di colore e passionalità, molto apprezzabili soprattutto nei momenti più rarefatti.

Il disco sorregge le proprie fortune su di un nucleo scintillante di tracce in cui si evidenzia il tipico ed immancabile gusto per l’atmosfera vellutata e di classe ed in cui emergono grandi parti corali dal tipico sentore primaverile. O come si suol dire in termini specifici, da “airplay”.
Di grande impatto ed efficacia sono senz’altro gli episodi in cui apprezzare armonie di particolare brillantezza come l’iniziale “High Times”, dall’incipit quasi Leppardiano, piuttosto che delle avvolgenti e cristalline “Beautiful Mistery”, “Break My Down” e “Gypsy Road”, pezzi in cui il connubio tra Boston, Toto e Chicago, genera ritornelli che innalzano la soglia delle emozioni verso il proverbiale e sognante paradiso dell’AOR.
Straordinaria poi, la scelta degli arrangiamenti e la forza melodica dell’eccellente title-track, un brano “notturno” e radiofonico che mostra come Michael Thompson sia ancora in grado di confezionare hi-tech AOR di razza sublime, inframmezzato da spunti chitarristici di eleganza unica.

Non manca inoltre un nostalgico richiamo al passato, identificabile nella riedizione della classica “Can’t Miss”, traccia comparsa già sul mitico “How Long” ed uscita dalla penna di Mark Spiro: un confronto quasi epico.
Calhoun alla voce, con Kimball ed Elefante ai cori (senza dimenticare il funambolico Terry Bozzio alla batteria) nella versione originale, non fanno comunque sfigurare l’opera di Larry King, più rock nell’impostazione, ma capace di reggere degnamente la sfida.

Dopo aver ascoltato un numero indefinito di volte questa nuova e significativa uscita del mago della sei corde americano, l’impressione che più si rende viva e concreta è tuttavia quella di un disco destinato un po’ a dividere i vecchi fan del celebre M.T..
Meno immediato dell’enorme antenato, “Future Past” abbisogna di un bel numero di passaggi per inserirsi sotto pelle e cucirsi nel profondo dell’animo. Un pregio in termini di durata e persistenza nel tempo, pur tuttavia, un limite nell’equazione che vorrebbe l’AOR essere genere musicale dalla fruibilità istantanea.

Ma dopo tutto, perché rincorrere continuamente inutili paragoni con l’eccellenza di un capitolo storico del melodic rock destinato a rimanere irripetibile.
“Future Past” è un’opera pregevole, dal fascino assoluto, confezionata con grande cura e con quelle sei-sette canzoni in grado di elevarsi oltre il livello di eccellenza, per avvicinarsi alla magica essenza dell’AOR più ispirato e trascinante.

Ce n’è abbastanza insomma, per ritenerlo un album degno del grande nome che ne griffa la copertina.
Abbastanza, per definirlo un disco “100% Michael Thompson Band”: senza dubbio e sin da ora, uno dei grandi highlight di questo 2012.

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Tracklist:

01.    High Times
02.    Can’t Be Right
03.    Future Past
04.    When You Love Someone
05.    Here I Am
06.    Beautiful Mystery
07.    Break Me Down
08.    End Game
09.    Gypsy Road
10.    Can’t Miss 2012
11.    Fight For Your Life

Line Up:

Michael Thompson – Chitarra / Tastiere
Larry King – Voce
Khari Parker – Batteria
Alan Berliant – Basso
 
Guest:
             
John Blasucci – Tastiere
Dave Hiltebrand – Basso  (When You Love Someone, Beautiful Mystery, Future Past, Here I Am, Break Me Down)
Matt Walker – Batteria (High Times)
Sahara Thompson – Cori (Can’t Miss)
J.P. Delaire – Tastiere / Cori / Sax (Can’t Miss)

 

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