Recensione: Gravity

Sesto album per gli heavy rocker Leverage, questo Gravity esce a tre anni dalla morte del cantante Kimmo Blom, che aveva fornito eccellenti prove sugli ottimi DeterminUs (2018) e Above the beyond (2021).
La band ha reagito al lutto reclutando l’italiano Paolo Ribaldini, che riesce a non far rimpiangere il suo dotato predecessore. Allo stesso modo, il songwriting dei finlandesi, guidati dal valido chitarrista Tuomas Heikkinen, non pare aver subìto il trauma che la dipartita di Blom deve aver provocato. Anzi, il risultato è l’ennesimo gran bel disco dei Leverage, che continuano a proporre un incontro piacevolissimo tra melodic rock, heavy classico, hard rock e un pizzico di epicità. Se dovessi proprio trovare un modello di riferimento, direi i Rainbow degli anni Ottanta: tanto per stare bassi.
Davvero pezzi come Shooting star o Tales of the night sembrano uscite dalla penna di un ispirato Blackmore del periodo di Bent out of shape. E se Hellbound train non lascia tanto di sé, ecco che Moon of madness torna ad alzare l’asticella, grazie a una linea melodica impeccabile, coinvolgente e, soprattutto, incredibilmente personale.
Eliza trasuda Rainbow nella strofa e pomposità nel ritornello: e Paolo Ribaldini regala una prestazione davvero sopra le righe.
All seeing eye è un mid-tempo epicheggiante che Ronnie James Dio avrebbe apprezzato: è un complimentone. King Ghidorah, invece, schiaccia sull’acceleratore e, con suoni un po’ più power, farebbe bella mostra su un disco degli Hammerfall.
Infine, la title-track Gravity è un pezzone progressivo di quasi dieci minuti che fluttua sulle ali di un’epicità cadenzata, mantenendosi magistralmente a cavallo tra heavy e rock: non è facile.
Superata da poco la metà dell’anno, mi sento piuttosto sicuro nello scrivere che Gravity rienterà nella mia top-10 del 2025. Se il disco è, infatti, cangiante, ricco di pathos, suonato e arrangiato benissimo, a colpire più di ogni altra cosa è la personalità distintiva dei Leverage, capaci di risultare riconoscibili pur rifacendosi esplicitamente a un modello definitissimo, come è l’heavy-rock degli immortali Rainbow. Eppure, c’è qualcosa nei Leverage che li rende i Leverage e non un altro degli ennesimi, pur bravi, cloni di un gran nome che fu: ecco, mi auguro che questo tratto vi faccia innamorare dei finlandesi (ma dalla voce italiana) almeno quanto è capitato a me. Trascurare Gravity nel diluvio delle uscite attuali sarebbe un vero peccato.