Recensione: Grit Your Teeth

Di Fabio Vellata - 12 Giugno 2020 - 0:05
Grit Your Teeth
Band: Vega
Etichetta: Frontiers Music
Genere: AOR 
Anno: 2020
Nazione:
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84

Pochi, pochissimi. Più unici che rari i gruppi che, nel corso della loro carriera, non hanno mai sbagliato un album. Magari non tutti capolavori in senso assoluto. Ma comunque dischi piacevoli e costantemente forniti di ottime canzoni, buone idee ed una facilità d’ascolto estrema.
Ne ricordiamo davvero a stento i nomi. Tra di loro vanno sicuramente annoverati i Vega, la band fondata dopo l’esperienza con i Kick dal singer Nick Workman insieme ai fratelli Martin.
Tom e James: due “macchine da songwriting” con la penna sempre “carica” e pronta a comporre ottimi brani.

Abbiamo avuto il piacere ed il privilegio di conoscere e descrivere il percorso musicale dei Vega sin dagli esordi. Era il 2010, anno di pubblicazione di “Kiss of Life” e già all’epoca Workman si diceva certo di quello che sarebbe stato il futuro della band.
Fatta per durare, non un progetto estemporaneo, affermava. Basata su qualità concrete. Voluta e cercata dai fondatori e destinata a crescere sempre di più.
Alla luce di quello che abbiamo ascoltato in questi dieci anni di carriera, una promessa decisamente mantenuta. Per longevità e qualità.
Del resto, se con “Grit Your Teeth” siamo approdati al sesto album ed il valore delle composizioni è ancora di livello tanto elevato, possiamo dedurre che quelle pronunciate non furono parole al vento. Ma una dichiarazione d’intenti consapevole, da parte di un musicista in pieno controllo del suo futuro e sicuro delle proprie ambizioni.

Arrivati a questo punto, rischiamo però di diventare un po’ noiosi. Dei Vega abbiamo già descritto con dovizia ogni particolare.
La mirabile amalgama che ha radici in Def Leppard e Danger Danger, si protende per gettare un ponte con la contemporaneità e ne miscela i caratteri in modo peculiare.
Il mix genialoide di temi hard e melodic rock incastrati su ritornelli quasi pop. Orecchiabili, easy, a presa rapida ed immediata.
Il songwriting divenuto, dopo anni, un autentico marchio di fabbrica.
I suoni, sempre luccicanti, cromati, ricchi di arrangiamenti e profondità come le grandi produzioni dei “big eighties”.

 

 

Tutti elementi ben riconoscibili che permettono di intravedere le basi da cui i Vega prendono spunto. Ma per i quali non si potrà mai asserire che non siano “loro stessi” e non posseggano una personalità forte, “propria”. Inconfondibile.
Via, se c’è un gruppo, in ambiti melodic e AOR che, davvero, può dirsi erede credibile di quello che è stato il grande rock degli anni ottanta, questi sono certamente i Vega.
E se ci siamo spinti sin qui, è solo per recitare, ancora una volta, la parte di quelli che scoprono il segreto di pulcinella affermando come – per l’ennesima volta – il nuovo prodotto dei Vega sia un ottimo album. In alcuni frangenti persino “grande”. Probabilmente migliore del comunque convincente predecessore “Only Human”.
Certo, avere in bacheca due capolavori come “What the Hell” e “Who we Are” aiuta ma pure penalizza. Difficile eguagliarli.
Tuttavia la classe in possesso dei musicisti inglesi è sempre lì, chiara, intonsa, cristallina. “Grit Your Teeth” ne è la conferma lampante: bastano due ascolti per entrare in sintonia con le sue trame. Come al solito, conquistano subito ma non sbiadiscono col tempo.
Ovviamente ci sono quelle che si fanno preferire e quelle che, pur piacendo, rimangono in secondo piano: questione di gusti. Tutti i brani però possiedono una ragione d’essere e non fanno pentire d’averli ascoltati. Qualche motivo per trovarli gradevoli, è sempre e comunque reperibile.
Talvolta anche di più: “”Blind“, “Don’t Fool Yourself“, “Consequences of Having a Heart“, “Save me from Myself“, “How We Live” e “Done with Me” sono tutti “pezzoni”, di diritto tra le cose più significative scritte dal gruppo britannico. Materia di alta scuola.
Armonie ed intrecci che solo gli assi riescono a comporre con tanta continuità e facilità.
Intrisi di atmosfere fascinose, frizzanti pur con un velo di romanticismo quasi malinconico nascosto tra i risvolti del tessuto melodico.
Il resto è tutta roba comunque buona e di valore, a partire dall’immancabile omaggio Leppardiano imposto con la title track sino ai grandi cori di “(I don’t Need) Perfection”. Passando per il gagliardo hard rock di “Man on a Mission“, “This One’s for You” e le ombreggiature crepuscolari di “Battles ain’t a War“.
C’è varietà, c’è stile, energia e divertimento.
Ma pure una palpabile raffinatezza negli arrangiamenti, nella costruzione delle composizioni, nell’immaginare cori e ritornelli.
Con quell’aggiunta di indescrivibile personalità che fa in modo di stimolare l’ascolto ripetuto dei pezzi.

Una volta li chiamavamo fuoriclasse. Ora i tempi son cambiati e con molto rammarico tocca prendere coscienza del fatto che un gruppo come i Vega rimarrà, temiamo per sempre, patrimonio esclusivo di un novero non troppo numeroso di fortunati conoscitori.
Forse meglio così: il fatto di poterli custodire come un gioiello prezioso, li rende ancora più affascinanti.
Per noi, in ogni modo, una volta di più annoverabili tra le migliori espressioni di rock melodico degli ultimi venti anni.

Irrinunciabili.

 

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