Recensione: Abyss of mankind

Gli Hardraw arrivano da Cipro, dove si sono formati nel 2011, anche se un primo nucleo della band era già attivo dal 2005 con il nome di “Ablaze”. Dopo un primo album (“Night of the wolf”) autoprodotto, il gruppo ha firmato un contratto con la sempre attiva label cipriota Pitch Black Records con la quale è stato rilasciato ad aprile 2024 questo secondo full-length intitolato “Abyss of mankind”. Il disco ha un discreto artwork (realizzato dall’artista Kostas Tsiakos) ed è composto da sole 8 tracce (finalmente un album senza inutilissime intro!) per una durata totale di circa ¾ d’ora. Il genere suonato dagli Hardraw è un piacevole heavy metal old-style che può ricordare gruppi storici come Omen, Manilla Road o Medieval Steel, anche se lo stile canoro del singer Jimmy Mavrommatis a me fa pensare più al mitico Morby ed ai suoi Domine. In un sound del genere, naturalmente, sono protagoniste le due chitarre della coppia Nikolas “Sprits” Moutafis e Andreas Kyriakou (che costituisce anche il nucleo storico della band) con piacevoli parti soliste; contribuisce non poco il batterista Vangelis Moutafis con un ritmo spesso brillante dovuto al sapiente uso della doppia-cassa, mentre il bassista Adamos Adamou pulsa a dovere in sottofondo dando spessore al sound, ma senza disdegnare qualche attimo di protagonismo (come in “Crime reborn”, ad esempio, o nell’attacco maideniano della title-track). Ciò che colpisce in positivo di questo album è la sua compattezza che lo rende convincente e coinvolgente, soprattutto se si amano certe sonorità old-style. Il songwriting è di buona qualità ed anche se tutti i pezzi hanno minutaggi non indifferenti (nessuno scende sotto i 5 minuti), i vari ascolti dati a questo disco sono sempre stati molto piacevoli, tanto che non rischio smentite affermando che tutti i brani sono validi, ben strutturati e gradevoli. Forse manca una vera e propria hit che possa dare la marcia in più e permettere al lavoro di spiccare in maniera notevole rispetto alla media ma, lo ripeto, non c’è assolutamente niente che non vada; se proprio dovessi scegliere qualche brano preferito, direi di getto la già citata title-track “Abyss of mankind” (in cui il cantante mi ha fatto pensare a Stefano Sbrignadello dei Great Master), l’epica opener “The cry of Persaina” o la lunga conclusiva “The riddle disciples”, quasi una sorta di suite, dedicata alla memoria dell’indimenticabile Mark “The shark” Shelton dei Manilla Road, in cui registriamo anche la presenza di due cantanti ospiti come Gianni Nepi (Dark Quarterer) ed Harry “The tyrant” Concklin (Jag Panzer, tra gli altri). Non ci addentriamo in discorsi su originalità ed innovazione, dato che sono concetti che ritengo non abbiano alcuna rilevanza per gli Hardraw che suonano solo e soltanto la musica che amano e verso la quale è evidente che hanno una notevole passione. Non credo che questo “Abyss of mankind” passerà alla storia dell’heavy metal, ma è un disco sicuramente piacevole che mette in mostra una band sostanzialmente nuova, ma dalle ottime potenzialità come questi Hardraw.