Recensione: Icon II – Rubicon

Di Mauro Gelsomini - 12 Novembre 2006 - 0:00
Icon II – Rubicon
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Anno: 2006
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80

Icon si conferma qualcosa di più che un progetto mono-release, tant’è che le prime avvisaglie di un seguito erano già iniziate con il tour che aveva seguito il debut, ed erano state seguite dal (brutto) Icon Acoustic TV Broadcast e dal “Live – Never In A Million Years”.
John Wetton e Geoff Downes devono essersi ritrovati alla grande, perché anche dal punto di vista compositivo, con questo nuovo episodio, si fa’ strada la sensazione che l’influsso magico capace, nel 1981, di dare ispirazione ai due per quel fenomeno dal nome di “Asia”, sia di nuovo tornato ad alimentare la collaborazione tra l’ex King Crimson e l’ex Buggles, a differenza di quanto emerso dall’ascolto abbastanza deludente del primo album.
Il paragone è certamente azzardato, soprattutto perché l’attuale mercato discografico non permetterebbe mai ad una band dedita all’AOR più puro le vendite raggiunte da Boston, Journey e Asia due o tre decenni fa, ma sentire quello stesso spirito reincarnato in qualcosa di vivo e vegeto, fa sicuramente piacere.

Il disco in questione supera il predecessore per l’accrescimento sinfonico di cui si fregiano i brani inclusi, ma soprattutto per l’omogeneità stilistico-compositiva che li lega. Siamo infatti di fronte ad un concept che trae spunto dalla famosissima (per noi) vicenda storica: il fiume Rubicone, che segnò per un periodo il confine tra Roma (Italia) e la Gallia, fu attraversato nel 49 a.C. da Cesare, in un atto di ribellione a lungo meditato prima dell’irreversibile risoluzione simboleggiata dalla celebre frase “Alea Iacta Est” (il dado è tratto), divenuta in seguito l’antonomasia delle decisioni dalle quali non si può più recedere.
Al di là del fatto storico in sé, comunque ideale vista la carica epica di un tale intendimento (Cesare morì per Roma, non dimenticatevelo!), il concept offre spunti di riflessione attualissimi, caricati emotivamente dalle musiche di Geoff e John, davvero presi dal lirismo della nuova opera. Non fate tuttavia l’errore di aspettarvi un lavoro cupo e sofferto, perché l’ottimismo con cui i “momenti cruciali” vengono presentati è reso in musica da arrangiamenti pomp/prog all’ennesima potenza, l’ora della verità, il “Rubicone” personale di ognuno di noi è una tensione positiva, in netto contrasto con l’eventualità di non scegliere affatto…
La componente autobiografica è dunque decisamente forte, evidente soprattutto nei brani meno “storici”, come “Reflections (of my life)”, “Tears Of Joy”, “Shannon” e “Whirlpool”, ovvero negli episodi più intimisti del platter, mentre le atmosfere più magniloquenti esplodono nei passi critici come l’iniziale “The Die Is Cast”, “To Catch A Thief”, “The Glory Of Winning”, ma soprattutto nella conclusione “Rubicon”, una magnifica suite corale e anthemica, che strizza l’occhio ai Magnum più epici, e che da sola varrebbe l’acquisto del disco…
Impreziosiscono l’album i contributi di Steve Christey (Jadis) alla batteria, John Mitchell (Arena, Kino) alla chitarra, Hugh McDowell (ELO) al violoncello, la quindicenne bimba-prodigio del folk Katie Jacoby al violino (Stewed Tomatoes) e Anneke Van Giersbergen (The Gathering) che duetta con Wetton su “To Catch A Thief” e “Tears of Joy”.

Nell’attesa, dunque, che il tour mondiale di reunion degli Asia in formazione originale, iniziato a settembre scorso, arrivi nel Belpaese, godiamoci Downes e Wetton nel loro Rubicon!

Tracklist:

  1. The Die is Cast
  2. Finger on the Trigger
  3. Reflections (of my life)
  4. To Catch a Thief
  5. Tears of Joy
  6. Shannon
  7. The Hanging Tree
  8. The Glory of Winning
  9. Whirlpool
  10. Rubicon

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