Recensione: III: Trauma

Di Andrea Poletti - 9 Agosto 2016 - 3:33
III:Trauma
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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63

Non deve essere facile risiedere in Austria, proporre black metal melodico e risultare credibili sopratutto quando il tuo monicker non significa altro che “suicidio per il cielo”. Applausi a scena aperta, fanfare, “black mental” e cover pseudo credibile. No signori, non sto prendendo tutto con leggerezza, al progetto Harakiri For The Sky qualcosa manca per per andare oltre la soglia del sospetto d’accusa che li vede colpevoli di “plasticosità”; sediamoci, prendiamo un respiro e guardiamoci nei bulbi oculari. Il Black Metal è la forma musicale più intransigente e maligna che sia riscontrabile a livello di attitudine di coinvolgimento con pubblico e tematiche, il black metal per essere definito tale però deve avere al suo interno una qualche componente che porti, oltre la musica, a intravedere lo spirito di codesto genere. A suonare black metal sono in grado tutti, essere black metal no. Così è se vi pare. La componente moderna che prende deviazioni e dirivazioni atmosferiche, epiche, melodiche e bla bla bla è accettabile, definibile tangenzialmente quale black non ha di per sè nulla a che vedere con l’istinto originale del movimento. Band molto brave a livello compositivo e strumentale quali Panopticon, i recenti Numenorean, i Deafheaven, Mesarthin, Saor, Wolves in the Throne Room e compagnia bella compresi i nostri protagonisti Harakiri For The Sky suonano musica estrema di buona fattura, ma non chiamatela black metal perfavore. Perché tanto accanimento? Per introdurre questo nuovo terzo album ufficiale intitolato “III:Trauma” che diventa l’ago della bilancia tra botta di ispirazione del passato e artificiale normalità del presente. Chi la spunterà?

Forti di un album valido quale il precedente “Aokigahara” i nostri tornano sul mercato dopo poco più di due anni con l’ambizioso terzo album, un terzo capitolo che di norma dovrebbe far gridare al capolavoro, ma che ahinoi così non è. “Trauma” ha delle ottime carte in regola, ha valide intuizioni e una struttura di base che risulta sempre convincente e dinamica; si riesce a comprendere senza sforzi la dedizione e la ricerca dietro ad ogni passaggio che volenti o nolenti cade in quel tranello denominato “credibilità”. Le canzoni tardano a fare breccia dentro l’animo dell’ascoltatore, che passivamente, accetta ciò che sta transitando attraverso i suoi padiglioni auricolari come dato di fatto, manca l’emotività, la voglia di buttare fuori un sentimento e/o uno stato d’animo lungo ognuna di queste otto tracce. Gelido, distaccato e razionalmente poco fluido porta anche i molteplici cambi tempo a districarsi lentamente e faticosamente: un elefante paffuto e vecchio in cerca di salvezza dalle fauci dei predatori. Quali predatori scusa? Sei fuori di testa? No ragazzi, metaforicamente il nostro grande pachiderma “Trauma” potrebbe nel giro di poco cadere, al cospetto di queste nuove e vecchie leve, che creano si lo stesso genere musicale, ma con forza d’animo e grinta necessaria per arrivare in fondo all’ascolto con la brama di un re-play. Facciamo qualche esempio: l’opener ‘Calling the Rain’ si poggia su un 4/4 basilare che si ascolta molto volentieri ma le tempistiche con cui i cambi tempo e le sfumature vengono eseguite risultano troppo difficoltose e leggermente forzate, come se in alcuni tratti le partizioni siano state incollate in post-post produzione. ‘Funeral Dreams’ e la successiva ‘Thanatos’ alzano i tempi, aumentano il fattore caridiopalma e delineano una spiccata verve tendente al black metal, ma le costanti aperture armoniche che si intravedono quà e là distruggono il buon lavoro svolto qualche minuto prima; nulla di male sia chiaro ma non si evince l’irrazionalità che dovrebbe essere fonte di queste canzoni, facendo piuttosto emergere una chirurgica razionalità che cozza con l’intento di base. Questo carattere appena descritto è riscontrabile attraverso ogni brano di “III: Trauma” e pare proprio che il capolavoro sia ipoteticamente rimandato al prossimo capitolo discografico. Certamente non esistono solo aspetti negativi, alla base v’è un album solido che si ascolta tutto d’un fiato senza lasciare intravede la luce oltre la collina; un album che vuole e deve frantumare le certezze dell’ascoltare delineando un’armageddon musicale che vince sul fattore pesantezza. Difficile da digerire, impossibile da non ascoltare una volta entrati in modalità Harakiri for the Sky ma difficilmente consumabile sulla lunga distanza. La semplicità dei loro tempi, la volontà di andare contro il passato per delineare una stilistica più matura e funerea, quanto elaborata, cozzano con la produzione finale che risulta sì buona ma nulla più. La produzione, questo essere malvagio ci ricorda che i suoni non possono e non devon essere così finti e delicati allo steso punto; ribadendo il concetto espresso ad inizio recensione, il black metal per essere chiamato tale non pretende il suono garage ma nemmeno il piatto tavoliere delle puglie in formato audio. Chi vuole intendere intenda.

Salutiamoci, suicidiamoci per il cielo attraverso questa recensione che non vuole bocciare gli Harakiri For The Sky, lungi dal sottoscritto, ma semplicemente riportarli a terra dal loro status di celebrità per confermare come non servono pochi e sporadici esempi per essere dei maestri nel settore. La lunga distanza, la maturazione, l’esperienza a volte sono lati caratteriali che emergono silenziosi, facendoci comprendere chi ha dentro i fattore black metal e chi no. “III:Trauma” ha delle buone intuizioni alla base ma realizzate in maniera dozzinale e poco istintiva, magari col futuro i nostri cari austriaci riusciranno a lasciarsi andare, intravedendo all’orizzonte quelle note che ad oggi rimangono prigioniere di troppi pensieri e pochi fatti. Demenza senile vuole che debba ricordare il mantra del giorno: questo non è black metal.

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