Recensione: Incandescent
Em Støy è una giovane polistrumentista norvegese, trasferitasi in Australia, che ha dato vita a questo progetto, il cui nome stesso è portatore dei valori musicali della stessa: Fryktelig Støy, infatti, significa proprio “rumore ribelle”.
L’artwork di Incandescent riassume tanto la proposta musicale quanto il nome del disco – che infatti non viene indicato: un’ala disegnata nell’oscurità, i cuoi contorni sembrano delineati da colori fiammeggianti. Ed, effettivamente, Em Støy parte proprio dal buio, e ridisegna la sua musica attraverso un’opera molto introspettiva e pregna di emozione.
Il fenomeno dei polistrumentisti che si isolano e fanno musica in piena solitudine è prettamente legato al metal: un modo per personalizzare ed interiorizzare la musica, renderla in qualche modo unica, attraverso partiture unidirezionali sviluppate senza alcun confronto. Tuttavia, qualora ci fossero delle idee eccezionali, eccole che proprio dal buio riescono ad emergere nella loro forza, nel modo più puro con le quali sono state concepite, ovvero, con l’animo dell’artista che le ha scritte e senza alcun compromesso. E questo non è pertinente, al 100% con la filosofia del blackster?
Fryktelig Støy propongono un black metal non puro, che si muove sul mid-tempo, sapientemente miscelato con il doom e avvolto da un’atmosfera decadentemente introspettiva, dalle forti connotazioni dark anni ’80. Le atmosfere sono opprimenti, ed è come se Em urlasse nella notte il suo dolore: “The room aches With absolute absence From me Hollow chest reverberates Where heart once beat”, canta, in Twilight Kingdom, il primo brano del disco in cui troviamo l’ésprit dello stesso. Già, perché tanto Black Swan quanto Be Cursed sono due brani in cui si respirano delle atmosfere black, disturbanti, con un riffing dissonante, ed in un certo senso, se da un lato sono l’eccezione, dall’altro lasciano percepire, a posteriori, il grande talento della mente che le ha create.
L’introspezione e le atmosfere lugubri, disagiate, sono la cornice di questo di Incandescent, che fa leva sull’impatto emotivo ed i demoni che ognuno di noi si porta dentro, con i quali è costretto a convivere. E l’aspetto doom segue questo sentiero, accentuandosi con il passare delle canzoni, fino a sfociare con Helix, un brano che sembra un’ oscuro rituale. Chiude la luciferina Manifest, diabolicamente sensuale nella sua prima parte, quanto aspra e violenta nel finale.
Per comprendere questo Incandescent bisogna entrare nel mondo di Em Støy, comprenderne il dolore, capirne le paure e le debolezze; un disco che parla a cuore aperto raccontandosi, mettendosi a nudo, e dando un taglio più personale e femminile in cui diventare portatori di luce.