Recensione: Into the Storm

Di Marco Catarzi - 6 Agosto 2021 - 12:00

Prima che parte del power tedesco ed europeo scegliesse la via dell’happy metal, un quartetto di Amburgo ad inizio anni Ottanta proponeva un metal fatto di sfrontatezza, potenza e melodia. Lo speed aveva preso piede anche in terra teutonica e gli Helloween dell’omonimo EP e di Walls of Jericho erano capisaldi di un scena che, tra gli altri, includeva anche i meno fortunati Not Fragile.

In un periodo di riscoperta delle radici, i nipponici Significant Point ci sorprendono facendosi portavoce delle migliori caratteristiche di quella scuola. Emersa quasi dal nulla (formata nel 2011 ma con un solo demo all’attivo prima di questo debut), la band di Tokyo non dimentica comunque la propria provenienza geografica, attraverso uno speed metal di marca europea che sposa la tradizione giapponese di Loudness e Anthem.

Into the Storm è suonato a tutta velocità e dominato dal lavoro monstre dei due chitarristi Gou Takeuchi e Kazuki Kuwagaki, capaci di virtuosismi in stile Shrapnel Records, ascendenza confermata anche dai diretti interessati. Il resto della formazione non è da meno, col basso pulsante di Kazuhiro Watanabe, memore della lezione di Markus Grosskopf, e la batteria di Itormentor (moniker a dir poco programmatico). Alla voce in tutte le tracce troviamo come ospite George Itoh, cantante di Risingfall e Military Shadow.

Con queste premesse non stupisce che pezzi come Attacker e Heavy Attack riprendano il meglio dello speed anni Ottanta, con sfuriate e assoli fulminei, riff che si incrociano continuamente nei fraseggi e un cantato selvaggio, sorretto da strutture strumentali potenti e melodiche allo stesso tempo.

In You’ve Got the Power e Riders Under the Sun le chitarre dialogano in maniera serrata ed emergono anche atmosfere degne di un anime (in linea con l’evocativo artwork di Mario López). C’è urgenza e ferocia nell’approccio dei Significant Point, a conferma di come sia possibile essere aggressivi pur prestando grande attenzione alla melodia.

La perizia tecnica è sempre messa al servizio delle varie canzoni, con armonie che evolvono in differenti trame per poi ritrovare più volte se stesse. Ogni pezzo ha un equilibrio nell’andamento delle strofe, dalla trascinante Night of the Axe a Run for Your Life, caratterizzata da un tour de force nelle parti soliste.

Con la title-track sembra di esser tornati nel 1985 nella sala prove della quattro zucche di Amburgo e il cantato in giapponese diventa inaspettatamente un valore aggiunto. Deathrider è dominata da un George Itoh sopra gli scudi, mentre gli strumenti corrono a mille dando una chiara idea delle potenzialità on stage dei Significant Point.

Il riff di Danger Zone è da manuale del classic metal, per un altro pezzo serratissimo, lasciando poi spazio a Running Alone, che ricorda gli Scanner dei primi due album, tra scorribande vocali e fraseggi in continua evoluzione.

Into the Storm contiene una quantità altissima di assoli e strofe, grazie a una formazione affiatata e padrona dei propri mezzi. La proposta all’insegna della velocità non ha momenti di flessione e stanchezza. Pur non inventando niente e rivolgendosi quasi esclusivamente agli amanti delle sonorità più tradizionali, il disco si pone tra i migliori full-length partoriti dalla cosiddetta NWOTHM, perfetto per coloro che amano i primi Helloween e vedono già nei due Keeper of the Seven Keys un eccessivo ammorbidimento.

In futuro non sarà impresa facile per i Significant Point far meglio di questa prima prova, così come trovare un cantante di ruolo con le capacità di George Itoh, ma a questo punto non può che esserci attesa per i prossimi passi della formazione nipponica.

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