Recensione: Kyrr

Di Tiziano Marasco - 23 Aprile 2015 - 15:13
Kyrr
Band: Kontinuum
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2015
Nazione:
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76

Rimango basito dalla produttività dell’Islanda in campo musicale. Björk, Emiliana Torrini, Sigur Rós, Múm, Hjáltalin, per proseguire con Sólstafir e Skálmöld in campo prettamente metal. Tenendo conto che l’isola di ghiaccio e fuoco conta 300000 abitanti, un terzo dei quali nella capitale per giunta, ci si potrebbe anche fare l’idea che ogni singolo figlio di Snorri militi in un gruppo e che gli islandesi non facciano altro che suonare dalla mattina alla sera (o dall’inverno all’estate sarebbe il caso di dire).

A questo stillicidio di nuovi gruppi si sono aggiunti una manciata d’anni addietro i Kontinuum nell’intento di ingrossare le file dei  gruppi pesanti che si adoperano a portare il metallo insulare al livello di quello, più famoso, delle nazioni cugine (Norvegia e Svezia su tutte). Va detto però che, se queste due nazioni si sono sempre distinte per il loro trademark musicale specifico – black norvegese, death svedese – i gruppi islandesi non formano un unicum compatto e omogeneo. Al contrario ciascuno si tiene stretta la propria individualità. Gli Skálmöld classicamente vichinghi, i Sölstafir vichingamente malinconici e sperimentali, i Kontinuum classici e legati alla tradizione del rock anni ottanta e novanta. 

Si notano infatti nel loro secondo album, Kyrr, influenze di vari gruppi, stranamente provenienti dalla terra dei mille laghi, in particolare Sentenced, e 69 Eyes, ma pur sempre con una massiccia dose di Lake of Tears.  Si nota però anche molta new wave, di quella degli anni ottanta. Non sapendo bene come etichettarne la proposta, verrebbe da collocarli nel filone del gothic più esplicitamente vicino all’hard rock, ma il quartetto è dotato di un attitudine indie che è figlia dei nostri tempi. Per non parlare del fatto che la voce Birgir Thorgeirsson sembra uscita dai dischi degli Interpol. 

Alla luce di quanto detto si ottiene un disco di chitarre ora tristi, ora riflessive, ora rabbiose, un gruppo di canzoni ben fatte e senza fronzoli su cui svetta Í Huldusal riassumibile in questa semplice constatazione: il singolo che negli anni novanta, prima dell’avvento di download e fast food digitali, avrebbe potuto proiettare questo disco in cima al mondo a dispetto del cantato in lingua madre. Semplice, molto semplice, eppure sofferto e dotato di una grande atmosfera, la classica ballatona che prende al primo ascolto e non molla più. E superata la folle smania di sentire questo pezzo un centinaio di volte, rivolgendo lo sguardo al resto dell’album bisogna dire che, sebbene il livello delle composizioni sia più umano, risulta comunque alto. 

Kyrr si basa su pochi riff di chitarra, catchy ed essenziali, abbinati ad una voce bella calda e ad atmosfere oscure che ogni tanto producono ottimi risultati, dalla groovosa opener Breathe alle più introspettive Hildargötu Helimsveldi e Undir Punnu Skinni fino alla violenta  e vagamente psychedelica Red Stream.

Kyrr è l’esempio di come sia possibile mischiare diverse influenze ed ottenere qualcosa di non esattamente innovativo, ma comunque semplice, solido ed equilibrato. Un album che non si impantana in trame eccessive e che non scade (quasi) mai nel mero citazionismo, risultando al contrario maturo e dotato di una buona personalità. Se nella prossima uscita i Kontinuum rischieranno ancora qualcosa potrebbero avere un futuro luminoso! 

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