Recensione: Welcome to the Absurd Circus

Di Luca Montini - 22 Gennaio 2021 - 0:00
Welcome to the Absurd Circus
Band: Labyrinth
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Power 
Anno: 2021
Nazione:
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80

Nono album in carriera per i Labyrinth, band che non ha certo bisogno di presentazioni: alfieri del power-prog metal da quasi trent’anni, saliti alla ribalta sulla scena internazionale nel periodo d’oro per il metal tricolore tra la fine degli anni ’90 ed i primi del 2000. Con “Welcome to the Absurd Circus” i toscani ritornano a quattro anni di distanza dal predecessore “Architecture of a God” (2017), al quale aveva fatto seguito il primo ed unico live album in carriera “Return to Live” (2018). La band si presenta con una lineup solida e affermata, composta da musicisti dall’elevata caratura tecnica: i due fondatori Olaf Thorsen ed Andrea Cantarelli alle chitarre, Roberto Tiranti alla voce, Oleg Smirnoff (Eldritch, ex-Vision Divine) alle tastiere e Nik Mazzucconi (Hardline, Edge Of Forever) al basso, con il neoentrato Matt Peruzzi alla batteria.

Il circo dell’assurdo imbastito dai Labyrinth ci accoglie con la solita, poliedrica capacità della band di evocare atmosfere e sfumature emotive tipiche del prog, tra arpeggi acustici e tastiere, che si fondono con l’anima più prettamente metallica con composizioni power dall’elevata velocità. L’opener e singolo “The Absurd Circus” è un brano particolarmente emblematico, con le linee vocali ben strutturate di Roberto Tiranti ed un refrain che ti entra subito in testa, con un raffinatissimo break delle chitarre di Olaf Thorsen ed Andrea Cantelli seguite dalle tastiere di Oleg Smirnoff. Il tema trattato, colonna portante dell’intero lavoro, è una dura critica al mondo di oggi, nella difficoltà estrema di mantenere un equilibrio razionale tra disinformazione e manipolazioni continue della verità, occultata costantemente da una maschera pirandelliana.

Verso lidi power più tradizionali, a tutta birra, la successiva “Live Today”, a valorizzare la sezione ritmica quadrata e potente di Nik Mazzucconi con la doppia cassa di Matt Peruzzi che non lascia un attimo di tregua. Ad abbassare il ritmo la successiva “One More Last Chance”, più forte sul piano emotivo con gli arpeggi in apertura ad alto riverbero che cresce d’intensità per poi accompagnarci dolcemente al termine con un’ottima interpretazione di Roberto Tiranti.
Le chitarre di “Den of Snakes” ricordano molto da vicino quelle di “Somewhere in Time” (1986) degli Iron Maiden in una gradevole citazione, per un brano tra i migliori del lotto che tratta un tema molto sentito ed attuale: l’assuefazione da social network (social media addiction) e le tremende contraddizioni della “tana dei serpenti” digitale. Un tema sempre più caro al nostro genere preferito, trattato recentemente anche da Angra e Nightwish, che sembra non fare sconti. Di oggi la notizia della morte cerebrale di una bambina di dieci anni vittima di un tragico gioco su TikTok.
Altro brano ben riuscito, “Word’s Minefield”, con una critica all’utilizzo del linguaggio nelle interazioni umane, che esplode in un ritornello particolarmente diretto e cantabile. “The Unexpected” torna a macinare con potenza vertiginosa della batteria e chitarre al fulmicotone in un uptempo che ci riporta ai tempi aulici del power metal, con un acuto in chiusura decisamente d’impatto.

labyrinth band 2021

Interessante la scelta della cover “Dancing With Tears in My Eyes” (1984) degli Ultravox a tre quarti del disco, brano scelto anche dagli Ardours lo scorso anno, sempre per Frontiers. Esecuzione perfetta e grande carica di energia con le tastiere ad impreziosire la versione più estrema mai proposta di questo pezzo, forte anche di un riffing tagliente e corposo, a rimarcare come gli anni ottanta abbiano influenzato e continuino ad influenzare a distanza di quasi quarant’anni le produzioni più recenti. Il tutto in perfetta continuità con la successiva “Sleepwalker”, di nuovo su atmosfere tipicamente ottantiane e con una linea di basso martellante.
La ballad arriva in posizione molto avanzata: “A Reason to Survive”, dalle atmosfere oniriche e soffuse tra chitarre acustiche e synth, che ci offre un’oasi di delicata serenità in un disco altrimenti tra i più potenti e duri della discografia della band toscana.
Chiude il lotto “Finally Free”, con le sue chitarre estremamente massicce e corpose, a testimoniare la produzione moderna e piena ad opera del buon Simone Mularoni (DGM), con le linee vocali che si stagliano imperanti e sicure sulla soggiacente struttura ritmica e melodica, di nuovo con un bel break a tre quarti che rallenta il tempo per enfatizzare il solo di basso.

Welcome to the Absurd Circus” è un album maturo, sferzante nella sua critica al mondo contemporaneo così come nelle composizioni, quanto mai dirette ed incalzanti. Un album che si candida tra i migliori lavori dei Labyrinth, un disco dalle numerose sfumature, tra disillusione, malinconia ed inquietudine, nel raffinato labirinto delle emozioni circensi che solo la musica può evocare con tanta intensità.

Luca “Montsteen” Montini

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