Recensione: Legend of the forgotten reign

Di Beppe Diana - 27 Ottobre 2002 - 0:00
Legend of the forgotten reign
Band: Kaledon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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78

Ebbene si, in un periodo in cui parecchi addetti al settore stanno intonando il “de profundis” nei confronti di quello che è stato frettolosamente etichettato come boombastic power metal, ovvero quel tipo di power metal troppo melodico e scanzonato per piacere ai capoccioni musicofili o a chi, discepolo della vecchia guardia, si ciba di Cirith Ungol e Manilla Road, l’invasione delle new comer band sembra davvero inarrestabile, e se qualche discografico afferma, a dir la verità solo a parole, di non voler puntare più sulle band italiane, vantandosi tra l’altro che senza il suo apporto il genere in Italia è morto, qualcun altro nell’ombra sta, di par suo, covando il grande colpaccio, e continua imperterrito a sfornare dischi su dischi convinto sempre più nelle potenzialità delle giovani leve di casa nostra nonché nel supporto dei metal kids più intransigenti, capitanati naturalmente dal sottoscritto, i quali fregandosene altamente delle “mode” e dei nomi che tirano, credono ancora che il metallo, quello con la emme maiuscola, sia da ricercare nell’underground nostrano.

 E così dopo gli ottimi debutti di Dark Horizon e Death of Glory, le “seconde linee” del true metal di casa nostra, scoprono d’avere uno sparring partner di tutto rispetto che risponde al nome di Kaledon. A dir la verità, la band merita tutto il nostro rispetto, avendo alle spalle una sfilza di demo, ben quattro per la precisione, accolte in maniera entusiastica, da chi di metal ne mastica un po’, ed avendo rodato la propria line-up on stage accanto a mostri sacri del calibro di Ronnie James Dio, e scusate se è poco!!!!!

E se a questo aggiungete che fra le fila della band troviamo pure un manipolo di ottimi musicisti, fra i quali mi preme ricordare la batteria umana David Folchitto, il guitar hero Alex Mele, nonché il funambolico vocalist Claudio Conti, che in molti ricorderanno in seno agli sfortunatissimi River of Change (a proposito, ma che fine hanno fatto???NdBeppe), le aspettative per un ottimo album, direi che ci sono tutte.

E così è, infatti i nostri sei amici nelle undici tracce che vanno a comporre questo “Leggend of forgotten reign”, danno dimostrazione di essere in grado di comporre ottime songs imperniate su di un solido symphonic/power metal molto eroico e fastoso che, concettualmente parlando, ha molti punti in comune con la musica proposta dei più blasonati Rhapsody e Thy Majesty, anche se, com’è bene rimarcare, in molte occasioni i Kaledon riescono ad essere piuttosto personali, anche se la parola personalità in un genere musicale che oramai sembra aver detto tutto, assume dei connotati  astratti!!!

E allora, siete stanchi dei soliti concept fantasy incentrati sull’eterna dicotomia fra il bene ed il male, intrisi di draghi, spade e folletti vari? Si? Male, mai giudicare una band solo dalle apparenze o sul sentito dire, perché così facendo avrete perso l’occasione d’ascoltare un disco onesto che, se ad un primo acchito avrebbe tutte le carte in regola per essere etichettato come l’ennesimo obbrobrio fantsay che ti tritura le palle facendoti venire il latte alle ginocchia, così non è, e se avrete la pazienza e l’argutezza di leggervi tutto il prologo di presentazione del disco, nonché l’intervista intercorsa fra il sottoscritto ed il buon Alex, capirete anche il perché.

Onestà dicevamo prima, infatti pur essendo ben consci di non aver inventato niente di nuovo, i sei capitolini si rendono artefici di una prova molta positiva dimostrando in più di un’occasione di essere in possesso di un ottimo bagaglio tecnico/strumentale, dando vita a brani dall’alto tasso metallico come la dinamica “Thunder in the sky” o la tellurica “In search of Kaledon”, brano che potrebbe fare la felicità di molti bands forse più affermate, anche se a mio personale avviso, la band dà il meglio di se nei frangenti più particolari e personali come l’intricata “God says yes” o la splendida “Army of the un dead king”.

Forse una produzione più cristallina e meno “pastosa” avrebbe in qualche modo donato un flavour più altisonante ad un disco che ha tutte le carte in regola per piacere e farsi piacere, e bravi i Kaledon!!!!

Beppe “HM” Diana

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