Recensione: Lights Out

Di Federico Reale - 18 Novembre 2012 - 0:00
Lights Out
Band: Graveyard
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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82

Che la Svezia abbia un ruolo molto importante nella scena musicale è una cosa ben risaputa.
Dopo aver conquistato un posto di tutto rispetto nell’ambito del rock melodico, del metal estremo e, nell’ultimo ventennio, del progressive, la fredda terra scandinava ha partorito sciami di giovani band dedite a ripescare quell’hard rock intriso di influenze blues, stoner e psichedeliche tipico dei primi anni ’70 di cui i Black Sabbath, i primi Blue Oyster Cult e gli Atomic Rooster furono i maggiori esponenti.
 Graveyard sono sicuramente la punta di diamante di questa nuova generazione cresciuta a pane e Led Zeppelin, e dopo due album che già li hanno consacrati come uno tra i complessi più validi sulla scena (Graveyard del 2007 e Hisingen Blues del 2011), sono tornati sul mercato con questo “Lights Out”.

Naturalmente la ricetta non cambia: i Graveyard continuano a suonare un hard rock allucinato e distorto, forse ancora più influenzato dallo stoner rispetto al passato. “Lights Out“ dura poco, solo 35 minuti, ma tanti ne bastano per far capire perché i Graveyard abbiano raggiunto un ottimo consenso tra gli addetti ai lavori e per capire che anche stavolta i quattro di Göteborg fanno sul serio ne servono ancora meno: in quattro minuti “An Industry of Murder” squassa l’aria ed esplode con la letalità di una fucilata in pieno petto a suon di riff abrasivi come un’abbondante sorsata di whisky che scorre giù per una gola secca.
Si trascina pesante come un macigno “The Suits, the Law & the Uniform” che, nonostante un costante e progressivo aumento di ritmo si presenta più cadenzata, ma i Graveyard dimostrano di saper picchiare come dei fabbri nella breve scheggia “Seven Seven”.

I due singoli “Goliath” e “Endless Night”, già pubblicati poco prima dell’uscita del disco completo, rappresentano il lato più catchy della band, ma nonostante ciò il sound è duro e graffiante come non mai e ovviamente non cede un centimetro alla mera commercialità; ancora una volta Joakim Nilsson riesce a sfoderare una grande prova con la sua voce caustica e subito riconoscibile, e il discorso è lo stesso per “Fool in the End”, in cui il cantante si destreggia con aria tormentata su un riff cupo e distorto.
“Slow Motion Countdown”, miglior pezzo del lotto a parere di chi scrive, e “Hard Time Lovin'” sono invece due lenti dall’incedere sofferente e malinconico che si insinuano nell’anima dell’ascoltatore con la stessa intensità di un forte mal di testa conseguente ad una pesante ubriacatura. A chiudere c’è “20/20 (Tunnel Vision)”, pezzo nuovamente distinto da un mood tetro in cui riecheggiano lontanamente i Beardfish della fine del decennio scorso.

Derivativi? Nostalgici? Troppo ancorati al passato? Sicuramente le influenze di Led Zeppelin, Black Sabbath e compagni sono molto evidenti, ma è anche vero che il quartetto svedese è riuscito a dar vita ad un disco vario e divertente.
Certo, se cercate innovazioni pesanti al classico suono hard rock non griderete al miracolo, ma se considerate la qualità delle canzoni, vi renderete conto di avere di fronte un lavoro di una validità sconcertante.
Se vi preoccupate riguardo alla longevità di “Lights Out“, vi posso assicurare dopo svariati ascolti che questo disco è come il vino: migliora invecchiando, e ci sono tutti i presupposti affinchè i Graveyard facciano lo stesso…

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Tracklist:

01 An Industry of Murder
02 Slow Motion Countdown
03 Seven Seven
04 The Suits, the Law & the Uniform
05 Endless Night
06 Hard Lovin’ Time
07 Goliath
08 Fool in the End
09 20/20 (Tunnel Vision)

Line-up:

Joakim Nilsson: guitar, vocals
Jonatan “Svala” LaRocca Ramm: guitar
Rikard Edlund: bass
Axel Sjöberg: drums
 

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