Recensione: Macabre Cabaret

Di Matteo Pedretti - 28 Novembre 2020 - 7:00
Macabre Cabaret
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Doom  Gothic 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Oltre trent’anni fa nella piovosa e nebbiosa Albione andava definendosi un suono che, per quanto – almeno in principio – brutale, era intriso della malinconia e del romanticismo tipici di quella terra. Il genere in questione è il Doom/Death metal, i cui pionieri furono i “Peaceville Three”: Paradise Lost, Anathema e My Dying Bride, così soprannominati perché lanciati dalla Peaceville Records del West Yorkshire. Queste band misero progressivamente da parte la componente più aggressiva (quella Death), lasciando che il proprio suono si evolvesse in quel sottogenere tenebroso, lento e dalle atmosfere decadenti noto come Gothic/Doom. Dopo alcune pubblicazioni ascrivibili a questa corrente, i tre gruppi intrapresero sentieri diversi. I Paradise Lost si avventurarono in territori Dark ed elettronici per tornare, nell’ultimo decennio, a sonorità molto vicine a quelle delle origini. Gli Anathema furono quelli che più di tutti si discostarono dallo stile degli esordi, esplorando lidi affini al rock alternativo, non privi di sperimentazioni elettroniche, fino allo hiatus tristemente annunciato la scorsa primavera.

I My Dying Bride, di cui ci occupiamo in queste righe, rimasero invece fedeli al Gothic/Doom, che impreziosirono con complesse strutture Progressive e l’apporto del violino, che divenne un tratto fortemente distintivo delle loro composizioni. Fermo dal 2015 a causa dei gravi problemi di salute della figlia del frontman Aaron Stainthorpe, nell’inverno del 2020 il combo di Bradford ha pubblicato  il capolavoro “The Ghost of Orion” seguito, a soli sei mesi  di distanza, dall’ EP “Macabre Cabaret”. Entrambi i lavori sono usciti su Nuclear Blast, ponendo fine a una collaborazione quasi trentennale con Peaceville Records.

Gli EP sono prodotti discografici tanto affascinanti quanto particolari: se da una parte, almeno quando la proposta è valida, il minutaggio ridotto rischia di lasciare nell’ascoltatore una sensazione di incompiuto, dall’altra, con il loro carattere interlocutorio e spesso privi di rilevanti aspettative commerciali, hanno il pregio di mostrare lati inediti di una band, concedendo spazio a soluzioni espressive inusuali, sperimentazioni, cover e via dicendo… È sicuramente il caso di “Macabre Cabaret” che ci consegna una versione dei My Dying Bride molto più diretta, meno attenta al dettaglio e alla ricerca sonora, ma non per questo di minore appeal.

Stilisticamente i tre pezzi dell’EP si discostano significativamente da quanto ascoltato in “The Ghost of Orion”, un album profondamente melodico e, a tratti, sperimentale (si pensi, ad esempio, al folk elettrico di “The Solace”, in cui la voce dell’ospite Lindy-Fay-Hella ricama delicati fraseggi sulla chitarra distorta di Andrew Craighan). Le tracce di questo mini album  sono invece terribilmente dirette, intrise di un’urgenza comunicativa da cui traspare pienamente il dolore accumulato dal cantante nel recente periodo di travaglio personale, così come la sua volontà di reazione.

L’apertura di “Macabre Cabaret” è affidata alla title-track, le cui liriche sono incentrate sui temi dell’amore oscuro e della passione incontrollata. L’intro di tastiere dal sapore cerimoniale è seguita da un’esecuzione che rientra nei canoni del Doom tradizionale, in cui la band accantona momentaneamente il proprio peculiare approccio al genere. Le chitarre scandiscono riff lenti e rumorosi a cui si accompagnano linee vocali pulite e baritonali, con occasionali growl. Il resto del brano prosegue in un’alternanza tra eteri passaggi di tastiera e sezioni pesanti e cadenzate.   In “A Secret Kiss”, musicalmente estremamente immediata, si ritrova molto dei primi lavori della band: a dettare la linea è un riff tonante su cui si innestano armonici di chitarra a profusione. Il registro vocale, seppur prevalentemente clean, lascia ampi spazi a growl ferali. Infine “A Purse of Gold and Stars”, a detta del frontman “… il luogo irraggiungibile in cui riponiamo le nostre speranze, i nostri desideri e il nostro affetto” è uno spazio sonoro  etereo, desolato e malinconico, disegnato da tastiera, pianoforte e violino, sui cui si adagia la voce di Aaron Stainthorpe, in bilico tra parlato e recitato.

Una produzione curata, ma asciutta, contribuisce a conferire alla proposta un senso di immediatezza e di grande naturalezza. La prova della band, sia in sede compositiva che di esecuzione, è come sempre di altissimo livello. Si segnala inoltre come nei credits dell’album compaia per la prima volta il nuovo chitarrista Neil Blanchett, entrato nella band nel 2019 in sostituzione dello storico Calvin Robertshaw.

Se fosse stata un’uscita estemporanea, “Macabre Cabaret” avrebbe potuto lasciare una sorta di amarezza nell’ascoltatore a causa della sua durata limitata. Ma fortunatamente questo EP è uscito a brevissima distanza dal magnifico “The Ghost of Orion” rispetto al quale si pone in un rapporto di complementarità, andando a disvelare una componente oscura che da tempo non trapelava così limpidamente dal sound dei My Dying Bride.

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