Recensione: Magvető

Di Elisa Tonini - 27 Luglio 2025 - 8:30
Magvető
Band: Dalriada
Etichetta: H-Music
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2025
Nazione:
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82

Quattro anni dopo il buonissimo Őszelő, i folk metallers Dalriada ritornano con “Magvető”, il loro dodicesimo album. Come è ben noto, i titoli dei loro full-length ruotano intorno ai nomi dei mesi in ungherese antico (ad eccezione di “Arany-album” e di “Forrás”). Ora siamo giunti ad ottobre, tradotto dalla band – nei post social – come “Il seminatore”.

Un po’ di contestualizzazione

“Magvető” si presenta decisamente in linea con il sound tipico dei Dalriada, specie quello più curato di “Nyárutó” e quello più corposo, quasi groove di “Őszelő”.
Ciò che lo distingue dagli altri album della loro discografia sono però due punti. Il primo è l’atmosfera più luminosa ed ariosa del solito, esaltata dalle frizzanti tastiere di Szabó Gergely, in bilico tra pianista classico e musicista moderno.

L’altro, è l’innocenza, che ritroviamo in una voce ormai adolescenziale, utilizzata nei cori. A tratti risulta più in vista, mentre in altri pare leggermente più “nascosta” dalle frequenze della voce di Laura e di tutti gli altri.

Si tratta della voce di András Ferenc Ficzek, figlio di András Ficzek e Laura Binder, già apparso in Őszelő (vedi la traccia “Örökség”) quando era un bambino. Da questo punto di vista, “Il seminatore” acquisisce un significato decisamente più profondo.

La recensione di Magvető

Il nuovo full-length degli ungheresi si compone di nove tracce per una durata complessiva di poco più di quaranta minuti. Si tratta di un’opera indubbiamente elegante e bilanciata tra melodie vocali e strumentali, sia nei momenti più calmi che nelle parti più concitate e dure.
Ciò che sorprende di Magvető è il suo essere colmo di un sentimento famigliare, che si abbina alla già citata innocenza. In questo senso, i Dalriada possono ricordare la famiglia Von Trapp (ricordate l’anime “Cantiamo Insieme ?”) spiritualmente parlando.

Considerando la grande ispirazione di tutta l’opera, ci è voluto un po’ nel trovare i punti alti del disco. Risaltano comunque, in special modo, “Végek éneke”, la title-track e “Igyál betyár”. Il primo è un incanto, dove tutti gli elementi riversano al meglio la loro personalità in una struttura fondamentalmente prog metal. La batteria di Monostori Adam è formidabile e fornisce un carattere implacabile, complementare alle ardite e raffinate tastiere, a tratti prog 70, a tratti jazz, sonorità condensate nella coda di grande emotività e nostalgia.
Quanto alla title-track, si potrebbe considerare pressoché perfetto l’equilibrio tra parti acustiche e quelle elettriche, in grado di rendere il brano luminoso, romantico ma anche tragico nel suo insieme. Gli assoli tra il prog-jazz ed il neoclassico collegano poi in un turbinio dinamico la struttura.

“Igyál betyár” conquista con la sua drammaticità vorticosa, ma colma di grazia assoluta. Dapprima ciò è espresso in modo relativamente riflessivo, per poi esplodere in uno sfondo tragico ma sempre epico – a tratti power/death – con un inserto strumentale doom.

Se vogliamo indicare dei momenti più deboli, quelli si possono vagamente trovare in “Vér a véredből” e “Hű szívvel valónak”. Nel primo caso, la schitarrata doom/groove, già utilizzata nella precedente “Igyál betyár”, poteva essere maggiormente differenziata. “Hű szívvel valónak” in realtà è un brano di tutto rispetto, ma forse fa leggermente un passo indietro, meno familiare e più patriottica in confronto al resto dell’album.

A posteriori, si può pensare che Ferenc sia un seme che diventerà l’albero della copertina ed ogni disco rappresenti un’istantanea di un’età che non torna. Certe teorie possono essere un azzardo ma provate a figurarvi il prossimo lavoro dei Nostri e l’altro dopo ancora, con la voce di Ferenc che cresce ed evolve. Magari un giorno prenderà le redini del gruppo, in eredità dei suoi genitori. Tra l’altro, la già citata “Örökség” di “Őszelő” significa appunto “eredità”.

Dalriada 2025, Magvető promo picture.

Conclusione

Con “Magvető” i Dalriada propongono decisamente un ottimo lavoro, coerente con quanto fatto in passato ma dotato di un’animo fresco, a tratti rinnovato. Restano aperte nuove possibilità espressive. Un album colmo di una genuina atmosfera famigliare – come detto in precedenza – e questo si può definire una cosa rara nel metal ma anche nella musica in generale. Ottima la produzione.
Quest’opera diventa altresì una sorta di “testamento” del tastierista Szabó Gergely, che purtroppo ha recentemente ha lasciato la band dopo 11 anni di onorato servizio. Un sentito ringraziamento al suo contributo.
Gli ungheresi si confermano ancora una volta tra le band di punta del panorama folk metal internazionale. Se amate il genere e la bella musica, ascoltatelo. E considerato il detto “Chi semina raccoglie”, attendiamo i frutti del prossimo raccolto.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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