Recensione: Manifesto

Di Daniele D'Adamo - 6 Novembre 2020 - 0:01
Manifesto
Band: Loudblast
Etichetta: Listenable Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Loudblast, la Storia.

Un moniker che evoca la magia della metà degli anni ottanta, quando le band dedite al metal estremo nascevano come funghi. Molte di esse sono nel frattempo sparite, sepolte dalle sabbie del tempo, ma alcune no. Sono quelle che hanno saputo via via rinnovarsi, spinte da un’enorme passione e da una magica alchimia fra i principali membri fondatori che, nonostante le storie di vita vissuta dei singoli musicisti abbia provveduto a falcidiarne le line-up, sono rimaste intatte per giungere al presente. Un presente che comprende trentacinque anni di esperienza, il che va considerato come un valore aggiunto, non sempre rinvenibile, non sempre scontato. Anzi.

Nel caso del combo transalpino, la suddetta alchimia è da ricercarsi nell’anima e nel cuore di Stéphane Buriez, voce e chitarra, mastermind che è sempre riuscito a costruire attorno a sé degli entourage di primo piano, tant’è che la produzione discografica è davvero notevole, comprensiva di otto full-length di cui l’ultimo è questo, “Manifesto”. Certo, ci sono state delle pause, qua e là, tuttavia si può dire che i Loudblast abbiano rispettato una più che sufficiente costanza nel pulsare. Pulsare death metal.

Death metal classico, non old school. Buriez, come più su accennato, è stato in grado di far evolvere, assieme ai suoi compagni di battaglia, il suo death da una forma primordiale a un qualcosa di moderno, attuale, in linea con i tempi ma, inesorabilmente, definito da dettami volti all’ortodossia. Niente brutal, old school (a volte giova ripetere), technical e sottogeneri vari. Semmai, una progressione da una sorta di black/death splendidamente trasformata, con il passare dei lustri, in un’entità somigliante al blackened death metal. Un lungo viaggio che ha portato i Loudblast a suonare nuovo e vecchio contemporaneamente, seguendo con disarmante chiarezza un filo conduttore che non si è mai spezzato dall’ormai lontano 1985.

Mentre di solito, in questo campo, la voce non è uno degli elementi particolarmente distintivi di un sound iper-pesante, Buriez affronta le linee vocali con encomiabile aggressività, anche in questo caso evitando di scadere in cliché tipo growling, harsh o quant’altro. Niente di ciò. L’ugola cattiva e stentorea del Nostro traccia strofe, ponti e ritornelli a pieni polmoni, senza sofisticazioni ma anzi nel rispetto di una naturalezza davvero feroce.

Una voce che setaccia una miriade di riff, elaborati e poi eseguiti con perizia ma soprattutto con inventività. Buriez, assieme a Jérôme Point-Canovas, forma una coppia di chitarristi dall’altissimo livello qualitativo. Un duo capace di innalzare un cupo, mostruoso, massiccio muro di suono, assolutamente invalicabile in virtù delle sua titanica dimensione tridimensionale. Un wall of sound realizzato con complesse rifiniture armoniche, scevre da melodie intese in maniera ordinaria, ma acuminate come stiletti di acciaio che vergano frasi di lingue sconosciute, antiche, sulla parete dell’immane manufatto sonoro.

Impeccabile la sezione ritmica la cui responsabilità cade sulle spalle di Frédéric Leclercq (basso) ed Hervé Coquerel (batteria). Anche negli istanti più concitati (‘Into the Greatest of Unknowns’), in cui regna la follia del blast-beats, la coppia non perde nemmeno un colpo, nemmeno un millesimo di secondo per strada. Una perfezione che fa onore a chi affronta il metallo oltranzista con competenza e professionalità. La spinta fornita è costantemente assetata su alti livelli di compressione, tranne che per qualche break rallentato (‘Invoking to Justify’). Irreprensibilmente tentacolare, insomma.

Le dieci canzoni, in cui compaiono spesso e volentieri le tastiere a mò di robusto sottofondo, rappresentano un insieme compatto, coeso, che non presenta alcun margine d’indecisione e/o incertezza, frutto evidente di un talento compositivo che, fra divagazioni stilistiche varie (‘Festering Pyre’), si dimostra estremamente consistente. Gli elementi di diversità fra i brani sono parecchi, con che regalano all’LP una buona dose di longevità.

“Manifesto”, la forza e la potenza.

Loudblast, la leggenda.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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80