Recensione: Moontan

Di Abbadon - 27 Settembre 2004 - 0:00
Moontan
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Anno: 1973
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Pensate, siamo solamente nel 1973, e “Moontan” è già il nono album della carriera dei Golden Earring, primato difficile dall’essere eguagliato anche nella prolificissima scena delle Hard Rock band del periodo (che tutto erano fuorchè incostanti nel produrre materiale). Nato nel 1965, il quartetto aveva infatti mostrato una solidità fuori dal comune, riuscendo (pur senza bruciare le tappe) a crescere con costanza ed imporsi pian piano come una delle migliori e maggiormente seguite band di Hard Rock dell’Europa continentale (infatti la nazione d’origine del gruppo è l’Olanda). Questo “Moontan” rimane, a 31 anni dalla sua prima uscita,  senza dubbio uno dei più importanti dischi della loro carriera, visto la quantità di Hits che esso contiene, ed è allo stesso tempo il simbolo musicale che fotografa l’evolversi della band. Se infatti i primi lavori erano molto leggeri (i Golden seguiranno una evoluzione stile Deep Purple, anche se molto più dilatata e costante nel tempo), col passare degli anni Hay e compagni trasformano il loro sound, indurendolo costantemente fino a fargli assumere le tinte dell’Hard Rock senza tanti fronzoli. Moontan è come detto uno degli emblemi, o meglio una delle fasi cruciali di tale evoluzione. Se infatti il sound è tipicamente settantiano, non mancano innesti tipici di altri generi, come presto andremo a sentire. Fatto sta che il prodotto fa un grandissimo successo, che fece fare alla band il salto di qualità quanto a popolarità internazionale, e lasciando in particolare un suo singolo, “Radar Love”, a fare sfracelli nelle hits dell’epoca, senza distinzione di stato (infatti finirà ovviamente al primo posto in Olanda, ma anche nella Top 10 inglese e top 15 USA). Sin dall’inizio si percepisce un certo feeling fra il disco e l’ascoltatore, che pian piano rimane rapito dalle atmosfere che si vengono a creare intorno a lui. Il quartetto, ormai definito (insieme da 4 anni e numerosi album), è composto da Rinus Gerritsen (tastiere e grande basso, uno dei pochissimi a fare assoli di tale strumento in quel periodo), Barry Hay (voce, flauto, sax e chitarra), George Kooymans (voce e chitarra) e Cesar Zuiderwijk (batteria) e si intende alla perfezione nel suo lavoro, coadiuvato nell’occasione da guests quali Patricia Paay (voce), Eelco Gelling (Slide guitar) e  Bertus Borgers (sax). L’atmosfera è giocosa ma  serissima allo stesso tempo, e sicuramente non lascia  indifferenti (soprattutto nelle parti strumentali, che predominano su quelle anche cantate). Gran parte del lavoro lo svolgono bassista (e Steve Harris dovrebbe saperne più di qualcosa) e batterista (sempre pimpante), ma anche il cantato è più che discreto (su tonalità medie, ma dotato di grande capacità interpretativa), così come la chitarra, che svolge le parti rifinitorie con classe ed eleganza. L’attacco della versione europea (ve ne è infatti anche una USA, come poi vedremo), versione contenente solo 6 song (belle lunghe per inciso), è affidato alla hit (spesso riproposta dal vivo, come ho avuto fortuna di vedere) “Candy’s Going Bad”. Piuttosto veloce e dotata di grande appeal, Candy viene trainata per oltre 6 minuti, come spesso succederà, da un grandissimo basso, estremamente udibile ed accompagnato sempre e dalla fidatissima batteria e, più occasionalmente, da rifiniture chitarristiche e giochi di tastiera. Se le strofe sono ben più che godibili, il ritornello è a dir poco esplosivo (così come l’assolo), con dei giochi della 6 corde (sullo sfondo) da far strabuzzare le orecchie. Belli anche i cori e sempre azzeccati i molti cambi di tempo (anche questa caratteristica di Moontan), specialmente uno piuttosto netto che divide la track in 2, facendola passare da rapida e cantata a lenta, strumentale, e che sà molto di prog rock (dotato però di volti blues) di quegli anni (a conferma delle numerose ispirazioni della band). Dopo “Candy’s..” irrompe un’altra gran traccia, la lunghissima (quasi 10 minuti) “Are You Receiving Me”, caratterizzata da strana atmosfera, oltre che da una batteria superlativa. Molto belle sono le inattese aperture melodiche, le improvvisazioni della chitarra e l’alternanza fra i due vocalist, che creano dei begli effetti sonori. Anche qui molti spezzoni ricordano le prog rock band dei primi seventies, sicuramente in modo meno cervellotico, ma altrettanto positivo. La specialità della casa sembra in questo frangente il partire da uno strumento per poi sovrapporvi volta per volta gli altri, con risultati davvero notevoli (in “Are you…” qui si sente piuttosto bene il sassofono, che crea un bell’effetto lungo la prolifica parte strumentale). Dopo due pezzi davvero eccellenti si giunge alla terza (e piuttosto differente) “Susy Lunacy (Mental Rock)”. Trattasi questo di uno stacco molto frizzante e leggero, dominato dalla chitarra acustica.  Il cantato è allegro e scanzonato, al pari del suonato, che fa un po’ troppo country-pop rispetto al resto del disco, ma nel complesso non demerita , se preso come diversivo. Il ritorno all’Hard si ha in grande stile, con la hit delle hit della band, che risponde al già citato nome di “Radar Love”. Suppongo siano ben pochi i rockers di vecchia data a non aver mai sentito questo brano, che si rifà allo stile dell’opener e che è stato più e più volte coverizzato. Aperta da un bel drumming e un basso dominante, la song procede su questo canovaccio, ricco di rifiniture create dai soliti Hay e Kooymans. Molto usato il sassofono, che comanda un a dir poco carismatico (e, volendo, anthemico) refrain. Non rimane molto altro da dire, anche perché non è difficile sentire Radar Love alla radio (se si va su particolari frequenze, ovviamente), quindi passo alla successiva “Just Like Vince Taylor”. La song è ovviamente una dedica a Vince Taylor, artista molto amato dalla band e fra i primi “uomini in pelle” del mondo musicale. La traccia è bellissima, estremamente Rock’n’Roll (con un marcato retrogusto boogie) e dotata di una splendida chitarra (grande il riff portante). Anche la batteria è, come sempre, eccellente, bene il resto, che rende davvero un grande omaggio a Vince. Ultima track della versione Europea e anch’essa ottima canzone è “Vanilla Queen”, semilento di grandissima atmosfera, quasi ipnotico nel suo tratto iniziale (e dal cantato magistrale). Il tutto poi si sveglia, diventando un buon hard rock impreziosito dall’ottimo pizzicare della 6 corde, che per un certo periodo si alterna all’ipnotismo di cui sopra. Da notare che la traccia si arricchisce di effetti mano a mano che prosegue, fino a diventare veramente notevole. Bellissimo l’arpeggio centrale, preludio all’ennesima lunga (e di gran classe) parte strumentale. Così, dopo questi 9 minuti (quasi 40 in totale), si chiude la versione Europea di un grande album, per me il migliore dei Golden Earring, platter che fa sicuramente dell’eclettismo il suo punto di forza, e che, soprattutto i fan di vecchia data (ma anche i nuovi, perché no), non dovrebbero lasciarsi sfuggire.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Candy’s Going bad
2) Are you receiving me
3) Susy Lunacy (Mental Rock)
4) Radar Love
5) Just Like Vince Taylor
6) Vanilla Queen

VERSIONE AMERICANA : Faccio un paragrafo a parte in quanto vi sono due album differenti, uno Europeo e uno USA. Quest’ultimo, oltre ad essere uscito un anno dopo (1974 anziché ’73), presenta una song in meno, fatto che stravolge la tracklist. Cambia anche la cover : la USA, in scala di grigi, raffigura infatti in dettaglio un orecchio umano indossante, manco a dirlo, un’orecchino ad anello, che reca appesa ad esso la targhetta “Golden Earring”. Per quanto riguarda la già citata tracklist, mancano Just Like…, e Susy.., mentre è invece presente “Big Tree, Blue Sea”, poetico componimento quasi interamente strumentale (c’è però un tratto di cantato) ed estremamente eclettico, che alterna hard rock in bello stile, psichedelia, prog, e altre improvvisazioni, anche di strumenti particolari quali il flauto, qui molto utilizzato. Tantissimi i cambi di ritmo, che spazia dal lentissimo al veloce, ed anche i cambi di emozione, che variano dall’allegria alla tristezza. Nel complesso anche la versione USA è molto bella, non differente da quella Europea sul piano qualitativo malgrado la sua diversità, le do quindi la stessa valutazione complessiva.

Tracklist USA :
1) Radar Love
2) Candy’s Going Bad
3) Vanilla Queen
4) Big Tree, Blue Sea
5) Are You receiving me

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