Recensione: Motion

Di Ottavio Pariante - 3 Febbraio 2012 - 0:00
Motion
Band: Almah
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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74

Dopo ben tre anni di assenza dalle scene tornano sul mercato gli Almah, band che vede come protagonisti due elementi di spicco del power metal brasiliano: Edu Falaschi e Felipe Andreoli, rispettivamente voce e basso degli Angra. In questo nuovo progetto i musicisti appaiono maggiormente valorizzati, specialmente Falaschi, su cui negli anni sono piovute critiche che lo hanno fin troppe volte maniacalmente paragonato al predecessore Andre Matos. In questa nuova creatura la voce degli Angra riesce a tirare fuori tutto il suo grande potenziale sia come cantante, sia come compositore e autore di tutti gli arrangiamenti di tastiera.

Se l’ultimo album ci aveva lasciato una band in piena salute, ma ancora legata agli schemi classici del power in salsa carioca, il nuovo album, figlio di una lenta e curata evoluzione, suona in maniera totalmente differente. Anche quando i refrain riescono a sopravvivere a questa silenziosa ma evidente trasformazione, tutto il resto acquisisce delle sonorità incredibilmente più dure, articolate e oscure. Si tratta di un radicale cambiamento al quale si è dovuta adattare anche la voce di Edu, con risultati sempre positivi a dimostrazione del notevole talento del singer brasiliano.
C’è molta carne al fuoco in questo ”Motion”: con le sue nuove sonorità forse è l’album che nessuno si sarebbe mai aspettato da una band troppo rispettosa del suo presente e del suo recente passato. Che il bisogno di sperimentare si fosse annidiato nell’anima e nel cuore dei cinque musicisti lo si può facilmente capire già dalle prime note del brano di apertura “Hypnotized”, con le sue melodie più raccolte e meno debordanti rispetto a quanto visto in precedenza, accompagnate da suoni ruvidi e glaciali.
Le stesse linee di guida vengono mantenute anche nella successiva, ”Living and Drifting” con risultati ancora migliori: qui i suoni vengono compressi in un mid-tempo roccioso e ossessivo, in cui la melodia in una veste di attrice non protagonista, contribuisce a far arrivare il messaggio dritto al cuore dell’ascoltatore.
Di diversa fattura invece è la canzone “Days of the New”, che racchiude al suo interno i nuovi e i vecchi elementi, contendendosi la palma per uno dei migliori brani del disco. Si tratta di un brano ispirato e convolgente sin dalle sue prime note, in cui la melodia si fonde alla perfezione con i ruvidissimi riff del nuovo corso della band, esaltati ancora di più nel suo finale in crescendo.
Un piccolo buco nell’acqua del nuovo processo artistico degli Almah però lo si scopre con il successivo e scialbo “Bullets On The Altar” che si colloca di nuovo a metà tra i vecchi schemi. Si tratta di un fuoco di paglia che scompare con la stessa rapidità con cui è apparso per dare spazio alla successiva “Zombies Dictator” con la sua ritmica micidiale. Il brano rappresenta un ottimo riassunto di quelle che sono le abilità tecniche della band con il suo intreccio di aggressività e di melodia, grazie a un ritornello arioso e coinvolgente in cui un Falaschi completamente a suo agio su terreni a lui non troppo abituali, dà il meglio di sé mostrando quanto possa essere duttile la sua voce.
L’isterica e sconclusionata  “Trace Of Trait” raccoglie un piccolo sbadiglio che la successiva “Soul Alight” fa subito dimenticare, dato che probabilmente rappresenta il miglior brano mai composto dalla band e che ha le carte in regola per accontentare anche l’ascoltatore più intransigente. Si tratta di un brano ricco suddiviso in tre parti che insieme danno un risultato meraviglioso: la prima è violenta, caratterizzata da un’anima thrash di ispirazione americana; la seconda è melodica, come negli esordi mai dimenticati; la terza e ultima ha il sapore progressive ed esalta in ogni sua nota il coraggio di cercare all’interno del proprio talento qualcosa di nuovo.
In questo interessante ritorno discografico c’è anche il tempo di cullare nell’aria la fiamma di qualche accendino al suono delle note ipnotiche di “Late Night In ‘85”, una semi-ballad dall’animo cupo e malinconico che saprà colpire dritta al cuore grazie alla prestazione impeccabile di Edu.
In ogni caso, non si tratta dell’unico lento di questo album, dato che la conclusiva “When And Why” è una dolcissima ballad semi-acustica che chiude il disco nel migliore dei modi.

In conclusione, non si può che apprezzare lo sforzo compositivo di una band che, arrivata al terzo album ha capito che è arrivato il momento giusto per osare di più e uscire dal pertugio in cui si era quasi volutamente nascosta. Nonostante qualche piccolo fallimento causato dall’eccessiva voglia di sperimentare, l’obiettivo di creare qualcosa di nuovo e intrigante, è stato ampiamente raggiunto

Ottavio Pariante

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Tracklist:
1. Hypnotized
2. Living and Drifting
3. Days of the New
4. Bullets on the Altar
5. Zombies Dictator
6. Trace of Trait
7. Soul Alight
8. Late Night in ’85
9. Daydream Lucidity
10.  When and Why

Line-up:
Paulo Schroeber : Guitar
Marcelo Barbosa :Guitars
Edu Falaschi : Vocals,Guitar and Keyboard
Felipe Andreoli: Bass
Marcelo Moreira: Drums

 

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