Recensione: Never Say Die

Di Carlo Passa - 24 Gennaio 2021 - 10:11
Never Say Die
Band: Wig Wam
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock 
Anno: 2021
Nazione:
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75

Avevamo un poco perso le tracce dei Wig Wam, che risultavano essersi separati nel 2014 ma oggi tornano alla ricarica con questo nuovissimo Never Say Die. I glamsters norvegesi avevano divertito il pubblico con quattro album forti di un hard rock fresco e dalle belle melodie: niente che facesse gridare al miracolo, ma certo produzioni di tutto rispetto, capaci d’innestare a pieno titolo i Wig Wam nel prolifico filone hard rock scandinavo, in vero più di matrice svedese che non norvegese.
Never Say Die si lascia apprezzare in virtù di un suono più duro dei suoi predecessori, sconfinando non di rado in lidi tipicamente hard-heavy, solo saltuariamente frequentati nelle precedenti prove discografiche della band.
E se la bella opener Never Say Die è un tipico hard rock nordico di questi anni, non estraneo agli stilemi dei vari Eclipse, W.E.T. e H.E.A.T., ecco che Hypnotized è esemplare di una sostanziosa attitudine hard-heavy che addirittura richiama i brani meno pesanti dei Masterplan.
Tutto il disco gioca su questa alternanza tra momenti di scanzonato, ma mai banale, hard rock dai ritornelli anthemici (Shadows Of Eternity, o Call Of The Wild) e pezzi decisamente tirati (Where Does It Hurt, o Dirty Little Secrets). A rimanere costante è il muro sonoro pienissimo costruito dai Wig Wam, che non lesinano grasse distorsioni e charleston aperti, il tutto valorizzato da una bella produzione, che aiuta a sentire la presenza della band, risultando un vero valore aggiunto alla buona scrittura dei pezzi.
Meritevoli di segnalazione sono Kilimanjaro, che è un eccellente clone della attitudine hard rock dei primissimi anni novanta, e la ballad My Kaleidoscope Ark, che pur richiamando le ultime consimili prove degli Aerosmith più radiofonici, riesce a emozionare il cuore del rocker; risultato purtroppo mancato dall’altra ballad del lotto, una Silver Lining troppo scontata per meritare la sufficienza, nonostante l’eccellente assolo di Teeny che la conclude.
E se Hard Love strizza l’occhio ai Whitesnake, in quel cangiante caleidoscopio che è Never Say Die, troviamo in Northbound un brano strumentale di ottima qualità, dove Teeny dimostra la propria maturità compositiva ed esecutiva, regalando quattro minuti di piacevole melodia chitarristica, capace di alternare dolcezza e aggressività.
In conclusione, devo dire di essere rimasto piacevolmente stupito da Never Say Die, che ci porta nelle orecchie una band davvero cresciuta (e, forse, un poco invecchiata), che ha compreso quanto sarebbe stato stucchevole continuare a recitare il ruolo del clone degli anni del Sunset Strip ed è riuscita a ritagliarsi un angolo di sicurezza in una proposta variegata e, in ultima istanza, ricca di freschezza scritturale. Never Say Die merita più di un ascolto, non tanto per assimilarne i dettagli, quanto per goderselo a ripetizione.

 

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