Recensione: Obscura

Di Fabio Vellata - 8 Marzo 2020 - 23:27
Obscura
Band: Semblant
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2020
Nazione:
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60

Un esperimento riuscito a metà.
In effetti, piuttosto strano trovare un gruppo come i brasiliani Semblant sotto l’egida di Frontiers Music, label storicamente rinomata per l’attività proficua ed intensa in ambiti hard rock ed Aor, con qualche puntata verso l’heavy ed il prog.
Mai però sino ad ora, vicina a territori estremi ancorché mitigati da evidenti sfumature goticheggianti e sinfoniche.

Un esperimento non del tutto riuscito dicevamo, in ragione del fatto che la scelta su cui concentrare l’attenzione è risultata non esattamente di massima efficacia, così come invece sperimentato più volte negli anni all’interno dei settori (sinora) più consoni all’etichetta partenopea.
Il gruppo carioca, arrivato con “Obscura” al buon traguardo del terzo full length in carriera ha, tutto sommato, buoni punti di forza nella tecnica strumentale, assolutamente inappuntabile e significativa, così come nell’impatto ruvido, ricercato più volte in alcuni brani che fanno delle ritmiche urgenti un cavallo (metallico, come ovvio), da cavalcare con convinzione.
Meno efficaci invece, le soluzioni volte ad ispezionare atmosfere gotiche ed il songwriting vero e proprio, ancora piuttosto stereotipato e vittima di una serie di cliché che non permettono l’affermarsi di una personalità che possa definirsi “propria” e davvero riconoscibile.

Fallito almeno in parte poi, l’accostamento tra le due voci portanti del progetto. Il dualismo tra vocals femminili pulite ed eleganti e parti maschili in growl, è un esperimento già ascoltato con eccellenti esiti più volte in epoche neppure remote. Ci vengono in mente due nomi a caso: i magnifici Leave’s Eyes e gli altrettanto blasonati Tristania, paladini di un gothic metal a volte sinfonico, talora più estremo, che ha segnato con carattere e forza un genere di confine come quello proposto.
Non è così purtroppo per i Semblant: l’amalgama delle due voci non pare riuscita. O comunque, lo è solo in parte. Le tonalità alte e pulite di Mizuho Lin – singer dall’immagine del tutto assimilabile a quella della più nota Alyssa White-Gluz degli Arch Enemy – spesso non si legano con le sparate gutturali dell’orco Sergio Mazul che, in effetti, si fa preferire a livello interpretativo.
I due in qualche frangente sembrano procedere su binari diversi, offrendo buone prove individuali che tuttavia non funzionano più di tanto se valutate nell’insieme.
Detto in modo esplicito ed in forma personale, avremmo preferito che a dominare fosse proprio solo la ferocia di Mazul, regalando così un affresco di metal gotico “estremo”, molto ben suonato, magari non originale, ma depurato da quell’alone un po’ finto ed un po’ opportunista di “symphonic metal female fronted” che va parecchio di moda ma non sempre regala vere emozioni come in questo caso.

Esempi che ben si attagliano a quanto descritto sin qui, nel bene e nel male (o presunto tale): “Left Behind” e “Wallachia” sono pezzi che viaggiano veramente bene, ricordando – addirittura – qualcosa degli immensi Amon Amarth proprio nel secondo brano appena citato.
Di contro, la pochezza di passaggi quali “Porcelain” e “The Hunter, the Hunger”, statici, banali, ammorbati da un stantia sensazione di stra-sentito, dichiara come l’altalena che caratterizza un album come “Obscura” rischi seriamente di diventare un fattore esiziale per il suo successo nei riguardi di un’audience già resa esperta da anni di side-project analoghi.
C’è da lavorare insomma. Basi discrete, ma ancora parecchia strada da percorrere al fine di ottenere un’identità tale da permettere di non annegare nel mare magnum delle tante uscite simili, divenute nel frattempo sin troppe grazie al trend imperante.

Lo diciamo nuovamente. Un esperimento.
Plausibile, nemmeno malvagio, ma di certo perfettibile.

 

 

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