Recensione: Oi Magoi

Di Tiziano Marasco - 20 Gennaio 2014 - 0:09
Oi Magoi
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2014
Nazione:
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83

Citando il nostro imparegiabile forum: “Cosa sarebbe successo se i Doors avessero scoperto il black metal?”. Una domanda che fino al 2010 deve essere passata nella testa di pochi, per non dire nessuno esclusi i greci Haris e Theoharis, vale a dire i due titolari e fondatori del progetto Hail Spirit Noir. I due già si conoscevano, essendo parte degli avanguardisti Trans Bizarre, sui quali nonostante tutto non ho avuto modo di trovare granché. Ad ogni modo gli ellenici hanno dato le stampe ad un grazioso debut album dal titolo Pneuma, il cui unico difetto era la brevità (38 minuti). A due anni di distanza riprovano con Oi Magoi l’ostica sfida di far incontrare l’anima di Jim Morrison e Grutle Kjellson.

Ad una prima analisi gli HSN in questo nuovo disco riescono sicuramente a risolvere il difetto di Pneuma, poiché Oi Magoi si articola in sette estenuanti composizioni per un totale di quasi 50 minuti.  Venendo al resto, bisogna dire che Oi Magoi è, ancora una volta un ottimo disco, in cui l’anima prettamente black assume sfumature progressive grazie a massicci innesti di synth settantiani e all’utilizzo di un pulito che veramente sembra rifarsi ora a Morrison e ora a Hedbrand Larsen.

Blood Guru e Deamon for a Day, partono sorrette da ritmiche da southern rock americano, dando l’idea che i Grateful Dead di Working Man’s Dead abbiano scoperto le chitarre taglienti del black novantiano, ma è con Satan is Time che veniamo posti davanti alla prima grandissima composizione di questo disco, con una strofa cantata sghemba ed oscura degna davvero del Jim Morrison più malamente inacidito. Satyrico Orgio è invece un pezzo duro e tirato, ma è con Mermaid che veniamo posti davanti al vero vertice di Oi Magoi. I nostri devono aver consumato di ascolti Below the lights, perché la miscela dei nostri, fatta di cori maestosi, lunghe digressioni di chitarre furibonde, assoli pinkfloydiani, flauti e tonnellate di synth ed un incredibile gusto per la melodia fanno davvero credere di trovarci innanzi ad una band pronta a fare il botto.

Stesso discorso per Hunters, terzo brano strappapplausi, sempre in bilico tra accelerazioni al calor bianco e cori allucinati, con digressioni oniriche, o meglio, incubiche, mentre la conclusiva title track (in greco) è un pezzo lento e minaccioso che conferma quanto di buono fatto sentire in un disco senza punti deboli.

Purtuttavia, la cosa che lascia maggiormente stupefatti è che, sebbene i nostri abbiano radici chiare e manifeste, la miscela di tali radici porta alla luce qualcosa di estremamente nuovo, compatto al di là dei cambi di ritmo e molto originale. Ciò è probabilmente dovuto alla atmosfera peculiare che permea questa tredici canzoni. A dispetto di premesse che possono lasciar intendere una musica d’avanguardia e proiettata verso il futuro, Oi Magoi ha un sapore molto pittoresco, da seduta spiritica medievale, fumosa, oscura, un po’inquietante e che (al sottoscritto) fa venire in mente i dipinti della Quinta del sordo di Goya (http://en.wikipedia.org/wiki/Black_Paintings) – e non per nulla il sottoscritto li ha ribattezzati in cuor suo come Enslaved spastici.

In buona sostanza, Oi Magoi conferma l’estro cristallino degli ellenici e apre splendidamente il 2014 del black progressive metal. Oltre a questo, conferma la sapienza della Aural Music, etichetta che ultimamente sta dando possibilità di espressione a svariate band di primo livello. Se questa è la strada, gli Hail Spirit Noir diventeranno l’ennesima band di culto con base nel Peloponneso, tenendo alta la bandiera di una nazione che, dai Rotting Christ in poi, si è ritagliata il suo spazio nel panorama metallico europeo. In parole povere, una favola!

Tiziano Vlkodlak Marasco

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