Recensione: Our

Di Lisa Deiuri - 6 Maggio 2025 - 2:04
Our
Band: Notturno
Genere: Ambient  Black 
Anno: 2024
Nazione:
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78

Terzo capitolo di una trilogia iniziata con il debut album ‘Obsession‘ (2022) e proseguita, sempre via Hypnotic Dirge Records, con ‘Inside‘ (2023), ‘Our‘ di Notturno – il progetto atmospheric / depressive black metal del compositore e polistrumentista Vittorio Sabelli (Down Of A Dark Age, Incantvm, A.M.E.N.) che qui ritroviamo alle chitarre, al pianoforte e ça va sans dire, essendo il suo strumento d’elezione, al clarinetto, accompagnato alla voce da Kjiel (Eyelessight) e Diego “Aeternus” Tasciotti (Ade, Handful of Hate, Dawn Of A Dark Age) alla batteria, laddove nel primo FL della “saga” fra i credits leggiamo, invece, il nome di Sven – ‘Our‘, dicevo, è un disco che riconferma lo stile inconfondibile di Sabelli, capace di esplorare le più oscure sfumature delle emozioni umane e tradurle in sonorità ricche di pathos.

Coerentemente con i temi dominanti dei primi due FL – la paura e l’ossessione che portano alla mania e alla disperazione – anche in ‘Our‘ l’ascoltatore viene accompagnato in una discesa nei propri inferi interiori.

L’album, infatti, inizia con un Adagio nel quale clarinetto e pianoforte evocano il demone della paranoia, la nera ombra che si insinua come una nebbia nei pensieri quotidiani annunciata in Inside da un melanconico arpeggio di chitarra, finché entra la voce di Kjiel che dall’attonito trascolora nel disperato, con l’accento di chi sa che dovrà, nuovamente, attraversare le tenebre.

It’s 2 o’clock, it’s time to love, it’s time to die / Inside.

La struttura musicale che mixa apporti classici e folk a momenti di pura atmosfera black si ripete come una maledizione anche in Anymore, un brano nel quale ormai il demone svela il proprio volto: è un crescendo di terrore e sofferenza interiore che culmina nella quarta traccia, la più sperimentale e, a mio avviso, assolutamente stupefacente.

Paranoia è un brano sospeso tra atmospheric e progressive, con la chitarra acustica e quella elettrica, appena, appena intrisa di malvagità black,  dove, trascorsi alcuni secondi di raggelante silenzio, l’ossessiva discesa nel girone infernale più buio avviene tramite la creazione di un sound disturbante e angosciante, risultato di lontane sonorità in distorsione che cedono il passo al basso in ripresa del riff iniziale, mentre il blast-beat, per contrasto, sottolinea le diaboliche frasi del clarinetto.

My lonely friend / Don’t leave me now / My lonely friend / Paranoia.  Così canta Kjiel in uno screaming che viene dal fondo dell’oscurità e termina in un lamento e un sussurro.

Mi ha sempre colpito l’attitudine estrema di Sabelli nel rendere visivi i suoni. La dimensione teatrale, presente anche nella cover image di ‘Our‘ come nelle precedenti, è un elemento portante in tutti i suoi progetti e questo, unito al suo solidissimo background classico, genera atmosfere nelle quali, volenti o nolenti, si viene immersi e, a tratti, inghiottiti senza scampo.

L’eterea dolcezza di alcuni passaggi, come nel brano finale ‘Doors‘, nel quale aleggiano gli spiriti del doom, altro non è che la sapiente creazione di istanti narrativi che introducono a momenti di terribile, lacerante consapevolezza, il tutto perfettamente rappresentato dalla performance vocale di Kjiel, che alterna sussurri, lamenti e singhiozzi a uno screaming che ti toglie la pelle di dosso.

Our‘ è un disco che completa un ciclo e, dal mio punto di vista, lo fa senza fronzoli, a costo di apparire più scarno rispetto ai precedenti, eppure la relativa “semplicità” del suo discorso musicale non fa che amplificarne la profondità e l’incisività. Da ascoltare, facendo attenzione a non sprofondare troppo…

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